2015, i contratti che mettono “all’angolo” i sindacati.

Raccordo tra contrattazione nazionale e contrattazione aziendale, coordinamento giuridico e contrattuale tra norme generali e pattuizioni individuali, rigidità delle regole centrali e necessità di adeguamenti aziendali nelle singole imprese: sono questioni che continuano a tenere banco nelle relazioni sindacali dei diversi settori, di fronte all’importanza di ricercare i necessari equilibri tra un quadro di garanzie universali e gli adattamenti alle diverse situazioni specifiche (un vecchio sindacalista mi diceva sempre: come si fa a regolare il part-time in modo general generico per tutti; e infatti cosa c’entra un impianto petrolchimico con McDonald’s?).

E come farebbe la legge, rigida e centralistica per definizione, a regolare la rappresentanza e la contrattazione sindacale nel settore degli occhiali e dei cappelli di paglia, dei lapidei e degli addetti del settore oleo-caseario, delle calzature del Brenta e del tessile abbigliamento di Casarano, delle vetrerie di Murano e delle piastrelle di Sassuolo?

E come introdurre nella contrattazione sindacale le nuove frontiere della conoscenza, il sostegno alla crescita delle competenze professionali, modalità di coinvolgimento e partecipazione dei lavoratori nelle imprese, il rafforzamento delle esperienze formative congiunte in materia sindacale tra direzioni aziendali e rappresentanti dei lavoratori?
Ma soprattutto quale contributo possono dare le relazioni sindacali ordinarie al sostegno di politiche attive rivolte all’incoraggiamento degli investimenti da parte di imprese e imprenditori? Questa è la radicale domanda che le giovani generazioni, in particolare, pongono ai sindacati e ai sistemi di rappresentanza in generale, poiché il lavoro viene generato solo da imprese e imprenditori con nuove idee, soluzioni innovative, produzioni di beni e servizi in grado di competere per qualità e prezzi, aiutati da regole semplici e uguali per tutti e da una burocrazia non nemica.
Intanto che accenniamo ad alcuni nodi delle questioni che stanno davanti alle Parti sociali nel prossimo anno, ci scorrono davanti le immagini televisive dello sciopero generale del 12 dicembre, di Maurizio Landini, di Susanna Camusso e del nuovo leader della Uil Carmelo Barbagallo e di quanto le loro parole e i messaggi trasmessi rischino di non essere compresi, anzi di apparire lontani e non adeguati: e ci sovviene che la realtà è sempre più forte dei pensieri e “le persone capiscono sempre le differenze”, come sosteneva il povero Ezio Tarantelli, l’economista di area cislina barbaramente trucidato trent’anni fa dalle Brigate Rosse.
E intanto che ci avviamo alla ripresa nel nuovo anno, ciascuno di noi, al mattino, in auto o sul treno, in metropolitana o in bicicletta, si ricordi degli oltre 150 anni di sussidiarietà nel nostro Paese, delle storie del dopoguerra e di Peppone e don Camillo, dei mobilieri della Brianza e dei contadini veneti, degli artigiani delle Marche e dei distretti toscani e a scendere nelle valli e pianure della penisola, per riprendere la memoria delle ragioni di chi, personalmente, in famiglia e in modo organizzato, ha contribuito, con il cammino delle formiche, alla costruzione di una solida e feconda economia manifatturiera che, checché se ne dica, continua a essere la seconda in Europa.

(F. Colombo, www.ilsussidiario.net, 05/01/2015)

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