Aldo Amoretti – Di commercio, di feste, di lavoro

Se ne dicono di tutti i colori intorno alla problematica delle aperture festive degli esercizi commerciali.
La più bizzarra è che le aperture danno luogo ad un aumento globale delle vendite quando è evidente che le vendite possono aumentare solo se accrescerà il denaro nelle tasche dei consumatori.

Quella di lasciare libertà di apertura solo alle zone turistiche l’abbiamo già vista e si è concretizzata in gare non proprio nobili a classificare i comuni in questa categoria.
Le vere problematiche sono le difficoltà dei piccoli esercizi commerciali specie a gestione familiare, il rischio di spopolare i piccoli centri da un minimo di servizi e il disagio dei lavoratori dipendenti.
Anche a quest’ultimo proposito ne sentiamo di belle: si ricorra al volontariato. Da ultimo perfino Annamaria Furlan, la Segretaria generale della Cisl, ha sostenuto questa tesi.
Ma può essere plausibile che un’azienda, la quale realizza una quota grande del suo business alla domenica, possa fondarlo sulla scelta volontaria dei singoli lavoratori? A me pare che sia pura fantasia.
Un guaio è che nel mondo della grande distribuzione si hanno pessimi rapporti sindacali salvo rare eccezioni aziendali.

Federdistribuzione, l’associazione delle catene, è uscita da Confcommercio sbattendo la porta proprio per i dissensi prevalentemente sulla questione delle festività e, mentre Confcommercio e Confesercenti hanno rinnovato il Contratto nazionale, la grande distribuzione (come del resto Coop) è in ritardo di oltre quattro anni, “mitigati” da provocazioni consistenti in erogazioni unilaterali di acconti.
Ma uno dei punti di maggior contrasto è proprio la gestione degli orari. Su questo si ha un rapporto di fatto leonino tra una grande azienda e ogni singolo lavoratore che si spinge anche a relazioni ricattatorie: imporre gli orari più scomodi a chi non sia simpatico a capi e dirigenti. Non è tutto così, ma non si racconti che Gesù Cristo è morto per il freddo dei piedi.
La via vera sarebbe il passare a un regime di partecipazione dei lavoratori (e di chi li rappresenta) alla gestione degli orari per rispondere alle esigenze dell’impresa conciliandole con quelle dei lavoratori, e con adeguate compensazioni retributive a chi fa gli orari disagiati.
Tutto questo a prescindere dagli esiti delle misure legislative in discussione perché in ogni caso ci sarà una prevalenza di feste lavorate piuttosto che no. E perché in ogni caso è desiderabile un cambiamento di regime nella gestione. La stessa legge in discussione potrebbe favorire questa novità.
Per i lavoratori e i sindacati sarebbe non solo un esercizio di potere, ma ovviamente anche di responsabilità. Non facili da esercitare.
Ho memoria di assemblee di lavoratori nelle quali la tendenza dei “fissi” (quelli in organico a tempo determinato e pieno) se la cavavano con l’idea di scaricare gli orari scomodi agli ultimi arrivati (spesso con contratti a tempo determinato e/part time). E se poi queste tendenze erano solleticate da qualche dirigente sindacale che pensava di lucrare qualche tessera adeguandosi alla corrente ti saluto solidarietà.

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