Boccia: “Tre miliardi per le imprese, basta distribuire a pioggia”.

“Il governo dovrebbe darsi un obiettivo di crescita del 2 per cento mettendo in campo politiche dell’offerta selettive perché le risorse sono poche e non è più il tempo di redistribuzione a pioggia”, dice Vincenzo Boccia, 52 anni, salernitano, imprenditore della grafica, presidente della Confindustria da tre mesi.

Di fronte alla prospettiva di un Pil piatto anche nei prossimi mesi (il Centro studi degli industriali pubblicherà le nuove previsioni macroeconomiche il 15 settembre) Boccia chiede di scegliere: puntare sul sostegno alle imprese, anche per sostenere la domanda. “Servirebbero tre miliardi di euro. In gioco – spiega – c’è la sopravvivenza stessa del sistema produttivo, schiacciato tra la svalutazione competitiva di altre monete e la minore produttività rispetto alla Germania”.

Presidente, lei sta chiedendo aiuti per le imprese in vista della prossima legge di Bilancio, né più né meno come si fa da sempre.
“Non è così. Se volessi prendermi gli applausi di tutta la mia base basterebbe che chiedessi l’abolizione delle tasse patrimoniali sui fattori di produzione, com’è l’Imu sui capannoni. Parlo di 10 miliardi di euro. Faremmo come gli altri: richieste a go go. Invece il nostro è un approccio diverso. Riteniamo che questa debba essere la stagione della consapevolezza, non esistono le bacchette magiche. La prossima legge di Bilancio non risolverà i problemi del paese ma può indirizzare le scelte a sostegno dell’offerta”.

Cosa vuole dire?
“Vuol dire rendere competitive le imprese, intervenire sui fattori orizzontali e trasversali e non di settore. Quella logica è superata”.

Come pensa che possa risalire il Pil senza sostenere la domanda? La nostra è soprattutto una crisi da domanda, i consumi sono fermi, l’inflazione è a zero.
“Alla domanda ci si arriva attraverso la politica dell’offerta e non facendo l’inverso. Prendiamo i premi di produzione. Uno dei nostri cavalli di battaglia è la detassazione dei premi di produzione: pensiamo che si debba estendere ai redditi fino a 80 mila euro, dagli attuali 50 mila, alzando i premi da 2.500 a 5.000. Questa non è la classica politica dei redditi, è una politica di scambio tra maggiore salario e maggior produttività “.

Che c’entra la domanda?
“C’entra, dobbiamo innalzare la produttività e per questa via le retribuzioni. È il modello tedesco che negli ultimi 15 anni ha consentito loro di ridurre il costo del lavoro per unità di prodotto del 30 per cento rispetto al nostro”.

Seguendo il suo ragionamento se ne deduce che Confindustria è contro l’incremento degli stanziamenti per il rinnovo dei contratti pubblici e per l’aumento delle pensioni più basse?
“Rispondo con una battuta. Quando a Navarro Valls chiesero cosa l’avesse più colpito di Papa Wojtyla rispose: riuscire a distinguere le cose urgenti dalle cose importanti. Ecco, ritengo che una leadership, politica o associativa, debba essere capace di fare queste scelte. Premesso che dobbiamo risolvere l’emergenza della disuguaglianza mi domando, la crescita è una priorità solo del governo e della Confindustria o di tutti? Come lo risolviamo, dividendo la tortina che abbiamo o allargandola? “.

Insomma, niente soldi agli statali e ai pensionati?
“Se dovesse tradursi in una disattenzione totale alle politiche dell’offerta sarebbe un errore”.

Ma il tracollo della produttività, come ripetono i sindacati, non dipende solo dal fattore lavoro. Gli investimenti privati sono crollati del 30 per cento rispetto al 2007.
“Vero, e anche questo riguarda le relazioni industriali. Il circuito virtuoso che noi immaginiamo porta a maggiori investimenti attraverso lo scambio salario produttività. Poi servono sostegni fiscali agli investimenti, dalla conferma del superammortamento al rafforzamento della cosiddetta legge Sabatini. Infine sono necessari incentivi fiscali alla crescita dimensionale delle imprese. Non c’è più spazio per le piccole imprese nella competizione industriale globale. Spetta a noi imprenditori aprirci ai capitali per non ripetere il tragitto della crescita a debito”.

Che può voler dire quotarsi in Borsa. È almeno da trent’anni che lo sentiamo. Ci sono grandi gruppi come Italcementi o Pirelli che si sono aperti ai capitali e sono finiti in mano straniere. Anche questo – guardando a Confindustria – ha impoverito la vostra rappresentanza, fatta sempre più di piccole imprese e di gruppi pubblici per loro natura filogovernativi.
“Non è un problema di rappresentanza perché queste aziende sono in Confindustria come prima. E poi noi siamo lo specchio del paese: il 90 per cento dei nostri associati ha meno di 100 dipendenti. Dobbiamo costruire per questi un percorso di crescita usando tutte le leve anche finanziarie. Quanto a Italcementi e Pirelli sono aziende che per motivi diversi hanno deciso di vendere. Se ci apriamo al mondo dobbiamo accettare che gruppi stranieri possono acquistare le nostre aziende come noi possiamo acquistare nel mondo. La questione vera è far sì che si investa in Italia”.

Calando la sua impostazione sulle relazioni industriali, ci dice come proponete di cambiare il modello contrattuale?
“Pensiamo, come ho già detto, che si debba rafforzare la detassazione dei premi all’interno dello scambio salario-produttività. Le relazioni industriali devono essere un fattore di competitività, come è successo in Germania”.

Si cambia o no il sistema contrattuale?
“Più che cambiare le regole dobbiamo rendere conveniente per imprese e lavoratori il salario di produttività detassato. Se si rafforza questo meccanismo sarà più semplice poi passare alla modifica delle regole. Viceversa se partiamo dalla teoria rischiamo di non andare molto avanti”.

Finiamo con il referendum costituzionale. Vi siete schierati per il sì in nome della governabilità. Non temete che il governo alla ricerca della stabilità possa fare troppi compromessi compresa la legge di Bilancio?
“È un rischio. Noi ci siamo schierati senza alcuno scambio.

Se vuoi fare politiche dell’offerta devi avere condizioni politiche di stabilità, altrimenti è molto probabile che punti a stimolare la domanda….”.

Che vuol dire, secondo voi, redistribuzione a pioggia.
“Appunto”.

(F. Manacorda, R. Mania, www.repubblica.it, 31.08.2016)

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