Focus FCA-Psa – I diversi volti della partecipazione

L’ampiezza e la trasversalità delle pratiche partecipative rendono la materia oggetto di ciclici interventi da parte delle rappresentanze politiche; con le dovute eccezioni, si tratta molto spesso di dichiarazioni d’intenti piuttosto generiche o a fini elettorali.

Più complesso analizzare le cause che conducono un’impresa ad adottare modalità partecipative o un governo ad approvare norme sulla rappresentanza dei lavoratori negli organismi di controllo e governance aziendale.

Nel mio percorso professionale ho incontrato e incontro lavoratori, imprenditori, sindacalisti, studiosi e studenti per parlare soprattutto di relazioni di lavoro e, inevitabilmente, di cultura aziendale; e da quest’ultima parto sempre quando mi capita di commentare progetti di partecipazione dei lavoratori.

Nel caso della fusione FCA/PSA il mio contributo alla discussione è facilitato in particolare dai precedenti interventi di TelljohannVerrecchia e Di Gioia.

Il primo ha sgombrato il campo dall’equivoco sulle reali intenzioni di FCA di integrare le modalità in essere di partecipazione operativa (World Class Manufacturing), intesa come “coinvolgimento diretto dei lavoratori nella gestione quotidiana e in primo luogo nella micro-organizzazione del lavoro” (Pero, 2019), con forme di partecipazione strategica, intesa come “coinvolgimento dei lavoratori nelle grandi scelte sul futuro dell’impresa e in particolare sugli investimenti in fabbriche e impianti o sui modelli produttivi” (Pero, 2019).

La scelta è stata obbligata per ottemperare alla direttiva 2005/56/CE e, soprattutto, per garantire continuità con il modello di governance adottato da PSA; due culture organizzative distanti tra loro, espressione di due sistemi di relazioni industriali, italiano e francese, storicamente differenziati dalla volontà di regolamentare la partecipazione dei lavoratori.

Ricordo in particolare la legge 504/2013 che ha diffuso in Francia “il meccanismo partecipativo nei consigli di amministrazione (attraverso designazione sindacale o del comitato d’impresa – comité d’entreprise), analogamente a quanto era già in vigore nelle imprese pubbliche” (Mitbestimmung, 2016/1) e il “Piano di azione per la crescita e la trasformazione delle imprese” con il quale nel 2017 la Francia ha deciso di raddoppiare la partecipazione azionaria dei dipendenti entro il 2030 raggiungendo il livello oggi registrato negli USA (EFES, 2020).

Porre massima attenzione alla raccolta delle informazioni aziendali nei casi di fusioni transnazionali è la condivisibile raccomandazione di Verrecchia e uno degli obiettivi di Opencorporation; la divulgazione equilibrata e tempestiva di queste informazioni conferirebbe maggiore oggettività al dibattito politico e sindacale, prevenendo dichiarazioni o promesse prefiguranti svolte di grande rilevanza nelle culture aziendali che in realtà solo il tempo, non breve, potrà o meno confermare.

Mi permetto peraltro di sottolineare che la continuità del modello di partecipazione strategica di PSA garantita dalla citata direttiva europea non assicura in alcun modo il successo dell’integrazione con FCA per quanto attiene alle esistenti pratiche di partecipazione organizzativa, ovvero “il coinvolgimento dei lavoratori nella gestione ordinaria dell’impresa” (Pero, 2019), e operativa; ed è proprio su queste pratiche formali, normate da regolamenti aziendali interni, e informali che la raccolta delle informazioni richiede tempo e impegno e talvolta viene sottovalutata dal management che coordina l’integrazione.

Un percorso non certo facile quello dell’integrazione tra i due gruppi automobilistici e, tutto sommato, riuscire a condividere le modalità di coinvolgimento dei lavoratori potrebbe renderlo più agevole. A condizione però che la condivisione non sia di facciata, perché presenze formali in organi consultivi (CAE) o decisionali (Consigli di Amministrazione o Sorveglianza) possono essere molto allettanti per rappresentanti sindacali che cercano visibilità “nella parte elevata della piramide organizzativa”, ma di scarso impatto sulle scelte di partecipazione operativa; inefficacia accentuata nelle filiali di una multinazionale, distanti dagli Headquarters e spesso focalizzate su obiettivi di breve termine.

L’ulteriore rischio paventato da Di Gioia è l’uso distorto di questi organismi transnazionali da parte del management allo scopo di depotenziarli e rallentarne l’attività mediante l’adozione di “barriere” procedurali; la fusione con PSA potrebbe costituire un’opportunità di rilancio per il CAE se la rinomata efficienza amministrativa francese prevalesse sui “bizantinismi” ?

Ricordo l’intervento di Giuseppe Della Rocca a un convegno presso l’università di Cà Foscari e la sua definizione di conflitto e partecipazione: “fenomeni collettivi, connotati da Identità, fattore determinante quanto difficile da conseguire, ma senza il quale ricadiamo nella prassi burocratica, nelle procedure contrattuali” (Mitbestimmung, 2016/2). Potrebbe apparire un concetto astratto, eppure mi ha fornito un criterio di lettura del mio percorso professionale nelle multinazionali dell’auto: grandi e piccoli marchi, culture organizzative differenziate proprio da identità tanto più forti quanto maggiore è il coinvolgimento dei lavoratori nel progetto aziendale.

Progetto è infatti l’altra parola-chiave, la partecipazione progettuale proposta e descritta in dettaglio da Francesco Butera, quella che “parte dalla modellizzazione di un percorso condiviso fra azienda, sindacato e istituzioni (soprattutto formative) avente per oggetto il ridisegno e il miglioramento della organizzazione e del lavoro, con una partecipazione attiva dei lavoratori che valorizzi le loro esperienze, creatività, capacità di risolvere i problemi e le loro visioni positive. Tutto ciò con il proposito di migliorare la produttività e le condizioni di lavoro e possibilmente sviluppare insieme nuovi modelli di sistemi socio-tecnici e di lavoro” (Mitbestimmung, 2018).

La costruzione di un nuovo gruppo con una forte (e nuova) identità e la volontà di share- e stake-holders di progettare e condividere il futuro del gruppo stesso saranno, a mio parere, i fattori di successo della fusione FCA-PSA; purchè, e qui mi ricollego alle raccomandazioni di Di Gioia, la formazione di tutte le parti in causa proceda non solo parallelamente, manager con manager, lavoratori con lavoratori, delegati con delegati, ma sia finalizzata a incontri e confronti che rafforzino la reciproca compenetrazione di idee, atteggiamenti, esperienze tra i diversi ruoli e reparti aziendali. Nelle aziende a conduzione manageriale la formazione continua, tecnica e comportamentale, strutturata ma anche rispondente alle esigenze di mercato, voluta, condivisa e approvata dagli stakeholders, è un potente antidoto contro la volubilità del management e i repentini cambi al vertice.

Goffredo di Palma

(opencorporationblog)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *