G. Baglioni, Un racconto del lavoro salariato, il Mulino, 2014.

Recensione di Marco Carcano, Università di Parma, ISMO, pubblicata su www.aidp.it.

L’ultimo libro di Baglioni rappresenta certamente uno sforzo convincente di mostrare il ruolo che il lavoro salariato ha ricoperto nelle dinamiche economiche e sociali dal dopoguerra ad oggi, in Italia, non trascurando, laddove necessario, qualche riferimento comparativo e storico.

Presenta, a nostro giudizio, molti meriti e pochi limiti e si presenta come un racconto (molto efficace il titolo del libro) in cui s’intrecciano l’analisi della letteratura specialistica e non e alcuni ricordi personali sempre molto pertinenti rispetto all’oggetto di riflessione.
Il libro è sostanzialmente composto da tre parti: a) nella prima parte ovvero i primi tre capitoli l’autore individua quali sono i macro-approcci o, se si vuole, i grandi modelli socio-economici e politico-istituzionali (quello comunista, quello socialista, quello socialdemocratico, quello della dottrina sociale della Chiesa, quello delle scienze sociali) attraverso i quali si può collocare e/o leggere il rapporto fra lavoro e società. In particolare Baglioni mostra come la dottrina sociale abbia dato un significativo contributo alla comprensione della questione del lavoro e sintetizza anche i nodi del dibattito intorno all’opportunità o meno di sviluppare un sindacato laico o cristiano; b) in una seconda parte la riflessione verte sugli attori che intervengono sul lavoro salariato con particolare riguardo al sindacato dei lavoratori e al comportamento delle imprese; c) in una terza parte invece l’attenzione è centrata su che cosa è stato il lavoro, cosa è oggi e cosa potrebbe essere nel futuro guardando sempre, contemporaneamente, al suo “contenuto” ed al suo “senso o significato”. Ne emerge una diagnosi estremamente utile anche se sintetica utilizzabile sia fra gli addetti ai lavori che fra persone interessate ad avere una informazione “colta” sul lavoro dipendente.
L’impressione complessiva che se ne ricava da una lettura non affrettata mi sembra essere sintetizzabile in espressioni di questo tipo.
Innanzitutto, qualità non sempre presente in persone in età avanzata, nel libro ci sono tesi e considerazioni che qualificano l’onestà intellettuale e la “voglia di capire” dell’autore che danno al lettore la piacevole sensazione di essere accompagnato in un percorso di ricerca che non ha tanto lo scopo di persuadere quanto di informare e, attraverso questa via, di arrivare ad una valutazione anche personale intorno ai fatti analizzati.
In secondo luogo, come esplicitamente dichiarato dall’autore, si “sente” dall’impianto complessivo del libro e, soprattutto, dalle modalità argomentative l’intreccio – che, in questo caso, mi pare virtuoso – fra la sensibilità e la strumentazione dello scienziato sociale (sociologo) e la “militanza” dalla parte del lavoro. Particolarmente utile in questa prospettiva è il capitolo sulle scienze sociali e sulle attività ed interessi oltre il lavoro.
Inoltre vorrei segnalare al potenziale lettore del libro una particolarità, una specificità di questo contributo che consiste nell’utilizzo combinato di fonti bibliografiche diverse (letteratura specialistica, giornali di grande diffusione, romanzi) che rendono maggiormente scorrevole un testo che tratta una tematica non certo “leggera”. In questa direzione si possono riscontrare anche due limiti: il primo è relativo alla scarsa attenzione verso riviste strettamente sociologiche sul lavoro e il secondo è rinvenibile nel non utilizzo, oggi di un certo interesse, verso i blog e le riviste on line.
Interessanti, sotto il profilo più strettamente tecnico, sono le numerose distinzioni che Baglioni sviluppa per “mappare”, il più correttamente possibile, la questione del lavoro salariato. Sono tre quelle che penso opportuno ricordare al lettore: a) quella fra diritti e tutele che mostra come le conquiste sindacali siano sempre temporanee e quindi ci sia la necessità di capire sempre meglio in quali contesti opera l’organizzazione sindacale; b) quella fra modificare la situazione e migliorare la situazione che fa meglio cogliere il senso e le difficoltà del riformismo sindacale e politico; c) quella fra flessibilità interna ed esterna che permette una maggiore chiarezza intorno alla differenza fra produttività aziendale del lavoro e produttività del “sistema paese”. Va però aggiunto che sulla flessibilità ci è parsa un po’troppo schematica la definizione data che non tiene conto, a nostro giudizio, della differenza fra flessibilità, precarietà e sicurezza.
Infine va ricordato che la tesi “forte” del libro ovvero che il lavoro salariato ha fatto un buon cammino che si è arrestato induce ad una domanda intrigante; ma quale sindacato è necessario per continuare un cammino virtuoso ?. Ma questo è un altro problema.

 

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