Imprenditori e tute blu d’accordo: il 4.0 chiede un cambio in fabbrica.

Le nuove relazioni industriali e la partecipazione alla gestione delle aziende

I tedeschi attorno al comune riconoscimento dell’economia sociale di mercato hanno costruito un codice condiviso tra imprese e lavoratori che chiamano cogestione, noi saremo mai in grado di costruire qualcosa di altrettanto significativo? È questa la domanda che ieri è rimasta nell’aria in un’assemblea confindustriale del tutto particolare: ad organizzarla era la Federmeccanica e tra gli ospiti d’onore chiamati sul palco a discutere c’erano i tre segretari generali di Fiom, Fim e Uilm (Landini, Bentivogli e Palombella).
Fabio Storchi, presidente uscente dell’associazione, è stato il primo a stabilire un nesso tra il recente contratto di «rinnovamento» firmato anche con la Fiom e la cultura della partecipazione. Secondo Storchi le novità che vengono avanti con la fabbrica 4.0 «impongono una nuova visione delle relazioni industriali, impongono di promuovere nei prossimi anni una via italiana alla partecipazione». Una soluzione made in Italy, più informale e quotidiana rispetto alla cogestione tedesca «ma non per questo priva di prassi codificate, come riunioni periodiche con il management, gruppi di lavoro volti a definire obiettivi aziendali, progetti di miglioramento continuo e innovative soluzioni di welfare». Il suo successore, il torinese Alberto Dal Poz, ha ripreso il concetto sostenendo che il recente contratto dei metalmeccanici ha permesso di «superare quell’idea di conflitto sociale che ha segnato l’intero Novecento» e oggi c’è bisogno di «elaborare una visione condivisa della quarta rivoluzione industriale».
Pur coltivando queste ambizioni la Federmeccanica tiene però i piedi ben piantati a terra e pensa che qualsiasi ipotesi di partecipazione passi in primo luogo dalla gestione coerente e rigorosa dei contenuti contrattuali. Stefano Franchi, direttore generale, ha parlato di un «pragmatismo» capace di creare esperienze-pilota per poi estenderle, sapendo comunque che il rinnovamento delle relazioni industriali «obbligherà tutti, imprese e sindacati, a parlare di più con le persone». Maurizio Landini ha ricordato come per la prima volta un contratto non rispondesse direttamente alla domanda-chiave di ogni lavoratore («quant’è l’aumento?») e invece fornisse strumenti nuovi come il diritto alla formazione e il welfare aziendale. «La gente in fabbrica si è fidata e ha votato sì all’80%. Ma non dobbiamo deluderla, si aspetta un ritorno altrimenti la prossima volta non ci darà più il mandato per sperimentare». Secondo Marco Bentivogli questa volta «abbiamo risolto la vecchia sovrapposizione tra i due livelli del negoziato, il contratto nazionale resta solo come cornice di garanzia e invece la produttività si discute in azienda» e comunque più in generale «chiudere l’esperienza del Novecento vuol dire mettere in campo una nuova idea per rappresentare le persone».
A chiudere l’insolita assemblea teutonico-reggiana è stato Vincenzo Boccia. In attesa che il patto della fabbrica, da lui più volte invocato, muova i primi passi il presidente della Confindustria ha detto di considerare la Federmeccanica «un’avanguardia» perché dentro il nuovo contratto «c’è un’idea di futuro e un importante risultato come lo scambio salario-produttività». La partecipazione, dunque, resta ancora sullo sfondo ma il buonsenso intanto ha fatto qualche passo in avanti.

(D. Di Vico, www.corriere.it, 23.06.2017)

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