Modello contrattuale: i contenuti dell’accordo sulle relazioni industriali.

Un modello di relazioni sindacali “autonomo, innovativo e partecipativo”: questi gli aggettivi che usa l’Accordo Interconfederale raggiunto ieri dalle parti sociali per definire le caratteristiche essenziali del nuovo assetto contrattuale.

Ciascuno di questi aggettivi ha un significato molto preciso.

L’autonomia fa riferimento alla scelta di lasciare alle categorie il compito di definire, settore per settore, il peso da attribuire in concreto al primo e al secondo livello contrattuale.

L’innovazione è la linea guida che ha ispirato tutta la nuova architettura contrattuale.

La partecipazione è uno degli obiettivi che dovrà essere perseguito dal secondo livello negoziale.

Queste  tre linee guida sono gli assi portanti di un nuovo assetto negoziale che dovrà avere una “governance adattabile”: con questo concetto le parti riconoscono la necessità di valorizzare le differenti peculiarità che connotano i settori, i territori e le aziende dove si esercita la contrattazione collettiva del sistema Confindustria.

Le relazioni sindacali potranno, quindi, svilupparsi seguendo direzioni differenti, nelle varie categorie, senza dover necessariamente seguire un modello rigido e predefinito.

In questo quadro di grande autonomia, l’intesa non rinuncia a individuare alcune linee guida che dovranno orientare la contrattazione collettiva, nei due livelli su cui si articola (nazionale e, secondo i casi, aziendale o territoriale) .

Il contratto nazionale di settore dovrà disciplinare i rapporti di lavoro, governare le relazioni sindacali di categoria e garantire i trattamenti economici e normativi comuni a tutti i lavoratori del medesimo comparto, senza distinzioni territoriali.

La retribuzione definita a livello nazionale ruoterà intorno a due istituti, il trattamento economico complessivo (TEC) e il trattamento economico minimo (TEM).

Il TEM coinciderà con i minimi tabellari definiti dal contratto nazionale, che potranno variare in funzione degli scostamenti dell’indice dei prezzi al consumo armonizzato per i paesi della Comunità europea (valore che dovrà essere depurato dalla dinamica dei prezzi dei beni energetici importati come calcolato dall’Istat).

Il meccanismo di crescita del TEM dovrà essere specificato dalle singole categorie che, in coerenza con il principio di autonomia sopra richiamato, avranno il compito di disciplinare l’istituto, tenendo conto delle “regole condivise, per norma o prassi, nei singoli CCNL”.

Sulla base di questa impostazione, potrebbero svilupparsi modelli molto innovativi come il sistema introdotto nel 2016 per il settore metalmeccanico (dove i minimi retributivi crescono solo in funzione dell’inflazione, e la retribuzione di produttività è interamente definita a livello aziendale) oppure sistemi più tradizionali, nei quali l’incremento dei trattamenti disciplinati dal primo livello contrattuale non è legato solo al costo della vita.

L’altra voce retributiva di nuova introduzione, il TEC, sarà costituita dalla somma del trattamento minimo e degli ulteriori istituti economici che il contratto collettivo nazionale di categoria individuerà come “comuni a tutti i lavoratori del settore”.

Tra gli istituti che faranno parte del TEC l’intesa include espressamente anche le eventuali forme di welfare previste dal contratto collettivo.

Sia il TEM che il TEC dovranno essere disciplinati in modo chiaro dal contratto collettivo nazionale di categoria, evidenziando la durata e la causa di tali trattamenti economici e il livello di contrattazione a cui vengono affidati.

Per quanto riguarda il secondo livello contrattuale, vengono riaffermati (e rafforzati) i principi già condivisi  nell’Accordo Interconfederale del 14 luglio 2016.

Pertanto, le intese del secondo livello contrattuale dovranno riconoscere trattamenti economici strettamente legati a reali e concordati obiettivi di crescita della produttività aziendale, di qualità, di efficienza, di redditività e di innovazione; inoltre, dovranno valorizzare i processi di digitalizzazione e favorire forme di partecipazione dei lavoratori ad alcune decisioni aziendali.

Queste linee guida bilanciano in maniera adeguata la volontà di salvaguardare i modelli contrattuali molto differenti già esistenti con l’esigenza quella di definire un quadro di regole comuni per tutti i settori: sarà ora compito delle categorie fare buon uso di questo equilibrio, ricercando intese capaci di valorizzare la nuova prospettiva.

(G. Falasca, estratto da Il Sole 24 Ore, www.lavoroeimpresa.com, 01.03.2018)

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