Premi di produttività per 5 milioni.

Poco più di cinque milioni di dipendenti, quasi 16.400 accordi e un premio medio di 1.500 euro a lavoratore: è la fotografia, aggiornata a fine novembre, dell’applicazione nelle “fabbriche” della detassazione dei premi di produttività, reintrodotti quest’anno dalla precedente legge di Bilancio, fino a 2mila euro di somme “incentivate” con la cedolare secca al 10% (2.500 euro, in caso di accordi paritetici nell’organizzazione del lavoro) e per redditi fino a 50mila euro lordi annui.


L’osservatorio per monitorare l’andamento della misura, strettamente legata alla contrattazione di secondo livello, e ancorata a incrementi reali di produttività, redditività, efficienza e innovazione, è stato voluto da palazzo Chigi e ministero del Lavoro; e a fine marzo scorso un decreto del dicastero guidato da Giuliano Poletti ha reso disponibile la procedura per il deposito telematico degli accordi.
Ebbene, dai primi numeri rilevati, che Il Sole 24 Ore è in grado di anticipare, emerge come lo strumento si stia piano piano diffondendo: gli oltre cinque milioni di dipendenti, 5.069.412, per l’esattezza, che hanno ricevuto un premio di risultato (o una misura di welfare) rappresentano il 29,8% dei 17 milioni di lavoratori dipendenti italiani; vale a dire all’incirca uno su tre. Certo, l’asse è spostato ancora verso le imprese medio grandi, soprattutto delle regioni Centro-Settentrionali (Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Piemonte, Toscana, Lazio, in particolare). Le pmi e il Mezzogiorno, più o meno in tutte le realtà territoriali, restano indietro.
La contrattazione decentrata però sta conquistando spazi: dei 16.361 accordi complessivi finora depositati, ben 13.460 sono contratti aziendali, che interessano 3,8 milioni di lavoratori beneficiari di premi incentivati, dal valore medio di 1.650 euro (se si converte il premio agevolato nei benefit ricompresi nel welfare aziendale, dall’assistenza sanitaria alla previdenza complementare alla conciliazione vita-lavoro, le somme sono interamente detassate, e quindi non soggette neanche all’imposta sostitutiva del 10 per cento).
Per rendersi conto del passo avanti basti ricordare che nel 2014, secondo dati di fonti Inps, si fermavano a circa 10mila le imprese utilizzatrici degli sgravi di produttività previsti nei contratti aziendali, e circa 30mila (soprattutto quelle più piccole, di norma aziende artigiane) all’interno dei contratti territoriali. Nel 2015, come noto, la misura è stata stoppata per mancanza dei fondi; è stata, poi, ripristinata da gennaio 2016 (ma si è consentito il deposito anche dei contratti di secondo livello firmati l’anno precedente).
«La scelta di reintrodurre da gennaio 2016 la detassazione sui premi di produttività si sta rivelando molto utile – sottolinea Marco Leonardi, consigliere economico dell’uscente governo Renzi -. Anche i contratti territoriali, probabilmente stimolati dall’accordo siglato a luglio tra Confindustria e sindacati, stanno aumentando: parliamo di circa 3mila accordi, che interessano 1,2 milioni di dipendenti, che hanno beneficiato di un premio medio di mille euro a testa. La strada che abbiamo intrapreso è quella giusta, e per questo motivo l’esecutivo uscente l’ha rafforzata nella manovra 2017 estendendo sia i tetti delle somme incentivate sia i redditi dei lavoratori beneficiari, includendo anche quadri e dirigenti non apicali» (accanto a operai e impiegati).
Passando alle singole misure previste nei contratti depositati presso il ministero del Lavoro, in circa 3mila imprese si è puntato sui programmi di welfare, che hanno riguardato più di 2 milioni di dipendenti. Fanno più fatica i piani di partecipazione, presenti in 1.700 accordi, pari a 1,6 milioni di lavoratori. Non sta invece decollando la distribuzione di utili: viene praticata da meno di 400 imprese.
Guardando, infine, all’ammontare dei premi di produttività erogati ai dipendenti, in circa 6.500 aziende la somma elargita ai lavoratori è stata inferiore ai mille euro; una quota più o meno simile di imprese ha distribuito premi tra i mille e i 2mila euro; mentre solo appena un migliaio di aziende si sono spinte un pò più su, assegnando ai propri dipendenti premi di risultato superiori a 3mila euro.
Per incentivare partecipazione ed erogazioni “di un certo peso” (provando così a rendere più variabile il salario, senza schiacciarlo a livello di Ccnl) un possibile intervento da mettere in campo, aggiunge Leonardi, «è la decontribuzione per le aziende: si tratterebbe – spiega l’economista di palazzo Chigi – di riconoscere uno sgravio a quei datori che coinvolgono i lavoratori e decidano di scommettere sulla retribuzione accessoria legato alla produttività. Avevamo approfondito il tema durante la discussione dell’attuale manovra di Bilancio. Il dossier è praticamente pronto, potrebbe essere riaperto in qualsiasi momento dal nuovo esecutivo».

(C. Tucci, www.ilsole24ore.com, 13.12.2016)

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