Premi di risultato e welfare aziendale.

La settimana scorsa l’Agenzia delle entrate, d’intesa con il Ministero del lavoro, ha illustrato in una nuova circolare l’agevolazione per i premi di produttività, varata con la legge di Stabilità 2016, per i lavoratori dipendenti del settore privato con redditi entro la soglia di 50mila euro. Abbiamo chiesto a Emmanuele Massagli, Presidente di Adapt, l’Associazione per gli Studi Internazionali e Comparati sul Diritto del Lavoro di Marco Biagi, di commentarla brevemente rispondendo alle nostre domande.

Quali sono le novità più rilevanti della circolare della Agenzia delle Entrate 28/E dello scorso 15 giugno?

Premesso che una circolare non dovrebbe mai contenere “novità”, non essendo norma, bensì spiegare i contenuti delle leggi/decreti approvati e ugualmente premesso che sappiamo che non è sempre così e la storia del diritto del lavoro e del diritto tributario è piena di atti amministrativi che si comportano da atti normativi, i passaggi più significativi del documento della Agenzia non attengono tanto alla “ordinaria” detassazione del salario monetario di produttività, bensì al welfare aziendale, sia quello c.d. “di produttività” che quello “ordinamentale”.

Nello specifico cosa ha chiarito l’Agenzia?

La circolare chiarisce che il premio di produttività è sottomesso ai limiti soggettivi (lavoratori con reddito da lavoro nell’anno precedente inferiore a 50.000 euro) e di soglia (2.000 euro che diventano 2.500 se nella azienda sono attive modalità di partecipazione dei lavoratori) anche quando erogato in beni e servizi di welfare. Questi, seppure limitati agli stessi importi del premio liquido, detassato al 10%, sono più vantaggiosi per l’impresa e per il lavoratore perché, non trattandosi di reddito da lavoro, non sono contribuiti e non maturano TFR (lato azienda) e sono completamente detassati (lato lavoratore).

Ancor più rilevante è però un secondo chiarimento offerto dalla Agenzia delle Entrate che, sposando una lettura della Legge di Stabilità sostenuta in primis da ADAPT, ha certificato che quando il piano di welfare non è volontario, quindi è esito di contrattazione, accordo o regolamento, l’azienda può dedurne totalmente le spese, senza vincolarsi al limite del 5 per mille di quanto speso per il personale dipendente che va invece rispettato se il piano è offerto volontariamente. In altri termini, si è passati in pochi mesi da una situazione di divieto esplicito alla contrattabilità del welfare aziendale a un sostengo economicamente molto rilevante alla contrattazione di secondo livello dei piani di welfare.

Tutti contenti, quindi?

Questo è per definizione impossibile. Il cambiamento è molto rilevante in termini culturali, oltre che organizzativi e di bilancio: se prima il welfare non poteva avere alcuna finalità economica esplicita, ora questa non solo è permessa (si pensi al premio di produttività pagato in beni e servizi), ma addirittura incoraggiata con un doppio vantaggio fiscale. Si tratta di una rivoluzione che sta facendo storcere non poco il naso ai “puristi” del welfare di natura sociale e agli osservatori più attenti al bilancio dello Stato (il chiarimento sul 5 per mille, infatti, un qualche costo allo Stato credo lo porti). Indipendentemente dalle valutazioni, si tratta di novità che hanno bisogno di essere monitorate nei prossimi mesi.

Ora che la norma pare comunque essere migliorata, cosa occorre perché il welfare si diffonda davvero nel nostro Paese?

Intelligenza. Se il welfare aziendale sarà usato solo per operare risparmi di bilancio e sostituire acriticamente premi e incrementi prima monetari con servizi, ancor più se non profilati sul bisogno del lavoratore, vincerà la diffidenza verso questo strumento, che sarebbe letto come una “fregatura”. Se invece il welfare aziendale diventa parte di una strategia complessiva di gestione, sviluppo, motivazione, riconoscimento delle persone, viene profilato sui bisogni reali dei dipendenti e allo stesso tempo si trasforma in un nuovo “arnese” della “cassetta degli attrezzi” dei sindacalisti, allora è possibile che conosca una stagione di continua moltiplicazione, riuscendo anche a generare indotto economico e non solo risparmi per imprese e lavoratori.

(www.amicimarcobiagi.com, 22.06.2016)

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