Renato Brunetta – Occupazione, quei destini da condividere nelle imprese

Non ci sono mai state così tante persone occupate in Italia. I dati dell’Istat
certificano un record storico. Diminuiscono in modo significativo anche i tassi disoccupazione e inattività. Restano preoccupanti i divari territoriali. E non possiamo ritenerci soddisfatti per i dati relativi all’occupazione femminile e a quella dei giovani, povertà, precarietà e infortuni sul lavoro.

Molto ancora resta da fare per sostenere la produttività del lavoro e affrontare la questione salariale. Il crescente invecchiamento della popolazione attiva e la contrazione della componente giovanile del mercato del lavoro stanno riducendo la capacità di rinnovare lo stock di competenze. Serve ripensare, dunque, e rapidamente il collegamento tra scuola, università e mercato del lavoro. Inoltre, le stesse dinamiche demografiche impediscono di rispondere alla domanda di nuove professionalità, aggravando il disallineamento tra la domanda e l’offerta di lavoro, che non consente di rispondere ai fabbisogni occupazionali e professionali delle nostre imprese e delle amministrazioni pubbliche, e penalizza la produttività.

Il reddito di cittadinanza, pur rispondendo a un bisogno reale di contrasto alla povertà, non ha contribuito all’incremento della fluidità del mercato del lavoro a causa di una strumentalizzazione ideologica e di una impostazione tecnica che ne hanno minato le prospettive di inclusione e di riattivazione dei percettori del reddito, trasformandolo in uno strumento prevalentemente «assistenzialistico».Lo spazio per colmare il divario occupazionale che ancora ci tiene lontani dai Paesi più virtuosi dell’Europa — e che penalizza soprattutto i nostri giovani — esiste. Questa deve essere la vera priorità dei prossimi anni se vogliamo davvero che il Primo Maggio sia una festa di tutti. Oggi ci sono le condizioni per coltivare una diversa utopia grazie alle opportunità offerte dal Pnrr, ancora da cogliere pienamente. Non quella di un reddito che prescinde dal lavoro, ma quella della piena occupazione in una società attiva.

I buoni dati sull’occupazione non devono ingannare: siamo nel pieno di due grandi transizioni, quella digitale e quella ecologica, accelerate dalla pandemia e dalla guerra in Ucraina, dagli esiti ancora incerti in termini di impatto occupazionale per intere filiere e settori produttivi, con una impresa che si va sempre più destrutturando e una progressiva individualizzazione dei rapporti di lavoro, e la crescita del finto lavoro autonomo.

Quello del lavoro è tra i temi più urgenti e deve essere centrale in questa straordinaria fase di ripresa post pandemica e di costruzione dell’Italia che vogliamo lasciare ai nostri figli. Perché il lavoro non è solamente un fattore economico della produzione, insieme al capitale. Il lavoro è il tratto distintivo di una civiltà: un percorso di crescita personale che costruisce identità, dignità, rappresentanza sociale e senso di appartenenza alla comunità. Anche nella sua dimensione tecnica e professionale il lavoro è espressione di libertà, partecipazione e responsabilità. E infatti nel mercato del lavoro si scambia una «merce» del tutto particolare: una merce che pensa e che grazie al lavoro impara. Una efficiente allocazione del lavoro con un corretto incrocio tra le competenze del lavoratore e i requisiti del posto di lavoro; un sistema di remunerazione che premi l’efficienza individuale e quella collettiva; una redistribuzione non conflittuale del valore aggiunto derivante dall’attività economica tra lavoratori e produttori diventano dunque elementi a sostegno della produttività totale del sistema, che è la chiave per la crescita e per la prosperità di una società nel lungo periodo.

In attesa degli effetti dei nuovi provvedimenti sul lavoro annunciati dal governo, per transitare dal vecchio mondo dei salariati, in perenne bilico e con lo spettro della disoccupazione e della precarietà, a un sistema con piena ed efficiente allocazione dell’occupazione che riconosca professionalità e competenze, occorre puntare su logiche di condivisione e partecipazione dei lavoratori nei destini dell’impresa. Anche per questo va visto con estremo interesse il progetto di legge di iniziativa popolare promosso dalla Cisl in tema di partecipazione, da discutere a livello politico e sociale, e con tutti i corpi intermedi in sede Cnel, ma da considerarsi un importante primo sasso lanciato nello stagno di un sistema di relazioni industriali che fatica a innovarsi e percorrere sentieri davvero nuovi. È anche questo il senso delle politiche di coesione sociale che si stanno portando avanti in diversi Paesi europei, e che l’Italia sta finanziando grazie alle riforme e agli investimenti previsti dal Pnrr.

Sembra dunque giunto il tempo di dare finalmente attuazione all’articolo 46 della Costituzione, iniziando a dibattere su una legge in materia di partecipazione dei lavoratori, così da superare alla radice, in una prospettiva di economia sociale di mercato, le spinte conflittuali che ancora oggi incidono sulla qualità e l’efficacia delle nostre relazioni industriali. Siamo a un bivio: tentare di cristallizzare la situazione attuale, senza peraltro garantire coesione sociale alla luce delle profonde dinamiche di mutamento tecnologico in corso, oppure costruire davvero l’Italia del futuro, i nuovi mercati del lavoro e le nuove professionalità. Al centro del lavoro del futuro ci saranno competenze e responsabilità: sono questi i tratti distintivi del modello economico immaginato dai Costituenti, distante tanto dal conflittualismo di chi voleva rifondare la società con la rivoluzione, quanto dall’individualismo di chi credeva nella mano invisibile del mercato. È questa la parte più moderna e vitale della nostra Carta che va messa al centro delle celebrazioni del Primo Maggio. Una chiusura del cerchio, se è vero che il capitolo della Costituzione dedicato ai rapporti economici (titolo III) si apre con la centralità delle tutele e della formazione per la elevazione professionale dei lavoratori (art. 35) e si chiude riconoscendo l’importanza della partecipazione ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione (art. 46). Perché, come ha affermato il presidente Mattarella nel celebrare il Primo Maggio tra i lavoratori del distretto della meccatronica di Reggio Emilia, non sarà possibile creare lavoro e sostenere le innovazioni necessarie senza un rinnovato protagonismo delle imprese ma anche senza una reale partecipazione dei lavoratori e dei sindacati.

(Corriere della Sera)

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