La crisi del movimento sindacale in Italia.

Intervista a cura di Andrea Rinaldi, pubblicata su Corriere Imprese, dorso dell’edizione bolognese del Corriere della Sera, l’11 aprile 2016

Professor Ichino il sindacato è in crisi?
Dal punto di vista della quantità delle adesioni, in Italia il sindacalismo confederale e quello cosiddetto autonomo sono assai meno in crisi di quanto lo sono i movimenti sindacali di molti altri Paesi occidentali, anche se si avvertono pure in Italia alcuni segni di marginale perdita di rappresentatività. C’è invece una crisi evidente sul piano, per così dire, funzionale: il sindacato pesa complessivamente molto meno di prima, sia nel sistema delle relazioni industriali, sia soprattutto sul piano politico generale.

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Furlan: il welfare aziendale non sostituirà il sindacato.

(…) La realtà italiana è fatta di piccole e medie imprese, dove il welfare aziendale è più difficile. Proprio qui deve concentrare i suoi sforzi il sindacato, con la contrattazione a livello territoriale e aziendale.

(…) Porteremo il 70% delle nostre risorse, sia umane che economiche, sul territorio, proprio per potenziare la contrattazione di secondo livello.

(…) Perchè è vero che la CISL ha più di 4 milioni di iscritti ma è anche vero che i giovani sono pochi. E invece bisogna farli partecipare, come bisogna far partecipare tutti i lavoratori alla governance dell’azienda.

(L. Salvia, Corriere della Sera, 28.09.2015)

Conferenza Cgil. Baseotto ai 921 delegati: “Il coraggio di cambiare per continuare a rappresentare e tutelare i lavoratori”.

Con la relazione introduttiva di Nino Baseotto ha preso il via a Roma la sesta Conferenza d’organizzazione della Cgil. Da tutta Italia sono giunti all’Auditorium di Roma 921 delegati, il 61 per cento dei quali espressione diretta dei luoghi di lavoro o delle Leghe Spi: “È la prima volta – ha sottolineato con orgoglio il responsabile organizzativo della Cgil nel corso del suo intervento – che in un’assise nazionale della Cgil si realizzano sia la sostanziale parità di genere, sia una netta prevalenza di compagne e compagni in produzione o militanti di Leghe Spi”.

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Salario minimo e contratti aziendali la sfida della modernità per il sindacato.

Mentre si attendono i veri numeri sugli iscritti, si intensifica la spinta per il ridimensionamento delle intese di categoria in favore di quelle per singola impresa, la chiave per il recupero della competitività. Ma la CGIL continua a opporsi.

(…) Il governo ha scelto di nin invadere il terreno di gioco delle parti sociali.

(…) Ha congelato il decreto del Jobs Act che prevedeva l’introduzione in via sperimentale del salario minimo legale nei settori non coperti dalla contrattazione.

(…) D’altra parte il compito del salario minimo (l’Italia è uno dei pochi paesi in Europa a non averlo) è stato svolto finora, per condivisa giurisprudenza, proprio dai minimi contrattuali introdotti dagli accordi firmati dai sindacati. Che ora hanno a disposizione alcuni mesi (sostanzialmente il periodo estivo) per contribuire a definire una proposta sul salario minimo (scegliendo il modello duale come in Germania in cui il salario minimo convive con i contratti nazionali) e per concordare con le controparti imprenditoriali un nuovo schema di contrattazione nel quale si applicheranno le regole della rappresentanza (…)

(R. Mania, La Repubblica, 15.06.2015)

Lavoro. Furlan: “Servono relazioni industriali partecipative ed un nuovo modello contrattuale per alzare le buste paga”.

“La Cisl è pronta a sedersi ad un tavolo assieme alle altre organizzazioni sindacali e a Confindustria per ridisegnare il modello sindacale per il nostro Paese”. Accoglie così il segretario generale della Cisl Anna Maria Furlan oggi a Expo per l’Assemblea annuale di Confindustria, “l’invito di Squinzi per individuare assieme nuove relazioni industriali e un nuovo modello contrattuale, dando peso e valore alla contrattazione di secondo livello”.

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Conservatori spiazzati dall’idea renziana di “sindacato unico”.

(…) Con il tramonto del sindacato legato al partito e alla sua ideologia, e con il declino dei partiti ideologici, potrebbe sembrare che serva un unico sindacato nazionale che si occupa solo dei problemi dei lavoratori e non fa “politica partitica” come adombrato da Renzi.

(…) Ma al livello nazionale, tranne che nella teoria marxista-leninista, non c’è un unico interesse dei lavoratori privati e pubblici uniti fra loro contro i datori di lavoro.

(…) Da ciò consegue che occorre passare a sindacati territoriali e aziendali per valorizzare la contrattazione d’azienda e di gruppo e la produttività.

(F. Forte, Il Foglio, 26.05.2015)