Contratti di 2° livello legati alla produttività.

«Il sindacato deve dare il suo contributo per la ripresa dell’economia e dell’occupazione, non per difendere l’esistente ma per rendere il nostro futuro meno incerto». Non è un caso che importanti personalita’ del mondo istituzionale ed economico (dal Presidente della Repubblica, Mattarella al Governatore della Banca d’Italia, Visco) abbiano sollecitato un impegno responsabile da parte delle organizzazioni sindacali per favorire la crescita e gli investimenti produttivi nel nostro Paese.

Ciascuno deve fare la propria parte. E questa esigenza è oggi tanto più necessaria se non vogliamo sciupare i pur timidi segnali di ripresa della nostra economia, anche grazie al calo dei costi dell’energia ed agli interventi anti recessivi della Bce. La decontribuzione e la defiscalizzazione del lavoro previste dall’ultima legge di stabilità, indubbiamente, hanno reso più vantaggioso il contratto a tempo indeterminato dopo tanti anni di rapporti di lavoro flessibili, precari, mal retribuiti e mal tutelati.

Ma tutto questo non basta a rimettere in moto un Paese fermo da tanti anni. Il lavoro non si crea solo con le regole. Solo un grande ” patto” per la crescita tra chi ha responsabilita’ di Governo (a tutti i livelli) e le parti sociali potrebbe oggi avviare una vera svolta, selezionando (e favorendo con impegni reciproci) gli investimenti produttivi di cui il paese ha bisogno da tempo.

Abbiamo perso ben 25 punti di produzione industriale nell’ultimo decennio, i salari ed i consumi sono tra i più bassi in Europa e soprattutto la produttività di sistema è ben lontana da quella dei nostri paesi concorrenti. Se nei primi anni novanta l’obiettivo degli accordi di concertazione fu quello di bloccare le dinamiche inflattive, oggi la sfida è esattamente l’opposta: far crescere i salari ed i consumi, tagliare le tasse, adattare la contrattazione alle esigenze dell’impresa, all’innovazione tecnologica, alla ricerca di qualità.

Il contratto nazionale deve conservare un ruolo importante di garanzia e di copertura generale per assicurare le giuste tutele ai lavoratori e la salvaguardia del potere d’acquisto. Ma è indubbio che con un’inflazione bassa, le retribuzioni possono crescere se si rafforza la contrattazione di 2° livello, se gli aumenti di produttività vengono redistribuiti sotto forma di incrementi retributivi. Questa è oggi la vera sfida del sindacato. Su questo obiettivo strategico bisogna costruire un percorso unitario chiaro per un confronto costruttivo sia con le associazioni imprenditoriali. La riforma contrattuale e’ il primo banco di prova su cui dobbiamo misurarci.

Ci sono alcune materie da affidare solo al 2° livello di contrattazione aziendale o territoriale, come l’organizzazione del lavoro, gli orari, la formazione, la flessibilità che concorre alla produttività, rivedere i turni ed i tempi del lavoro, riqualificare le persone. Senza trascurare l’importanza del welfare contrattuale che va valorizzato ancora di più negli accordi tra imprese e sindacati. Ma anche il Governo ha un compito fondamentale: deve detassare la contrattazione di 2° livello legata alla produttività, in modo da aumentare i salari e dare un impulso positivo a tutta l’economia italiana. Così come occorre incentivare fiscalmente la partecipazione dei lavoratori nelle scelte dell’impresa anche in vista dei processi di privatizzazione di importanti aziende pubbliche come le Poste.

Perchè il Parlamento continua a tenere nei cassetti i disegni di legge sulla democrazia economica? Nei paesi che sono usciti meglio dalla crisi, la partecipazione dei lavoratori si è rivelata la carta vincente per alzare la produttività, insieme alla qualità dei prodotti e dei servizi. Questa è la ricetta per modernizzare il capitalismo, dare un ruolo centrale ai fondi pensione, rendere più solide le imprese ed i lavoratori pienamente coinvolti e protagonisti. L’unita’ d’azione del sindacato si costruisce su questi temi, mettendo da parte ogni antagonismo sterile o la tentazione di farsi movimento politico. Chiudersi nel recinto per conservare l’esistente, sarebbe un errore storico non solo per il sindacato, ma per il ruolo fondamentale dei corpi intermedi che devono contribuire con grande responsabilità al governo delle società complesse.

(A. Furlan, www.ilgarantista.it, 30.06.2015)

 

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