Contratti, nuovo ultimatum di Renzi: “Il tempo sta per scadere”.

Sulla riforma della contrattazione “la palla è nelle mani delle parti. Ma il tempo sta per scadere. Se non si sbrigano loro, ci  pensiamo noi. E non è una minaccia, ma una semplice constatazione di  buon senso”. Lo riibadisce il premier Matteo Renzi in un’intervista al Sole 24 Ore,  anche se il responsabile del Lavoro,  Giuliano Poletti, smussa gli angoli sottolineando che è opportuno che “vada ancora lasciato giustamente lo spazio alle parti per il confronto”.

L’ok da parte dei sindacati è stato accolto con freddezza da Confindustria: per il presidente Giorgio Squinzi, la proposta è “già superata dai contratti di categoria che si sono chiusi in questo periodo e dalle nostre proposte per i contratti in fase di rinnovo, anni luce più innovative rispetto alla piattaforma di Cgil, Cisl e Uil”.”La loro ricetta – contrattacca il leader Cgil, Susanna Camusso – è vecchia come il mondo”. Da un lato, i sindacati parlano di una “stagione nuova”, di un risultato importante a cui sono arrivati dopo mesi (e strappi anche interni) ed una “difficile sintesi” su cui avviare il confronto con tutte le associazioni datoriali e con il governo, sottolineano, “controparte” nel pubblico impiego. Mentre sullo sfondo resta l’ eventualità di un intervento legislativo da parte dell’ esecutivo sul salario minimo legale e la rappresentanza. Ma per Squinzi “sono stati buttati sei mesi da quando li avevo invitati al tavolo e i risultati sembrano più una foto sbiadita che non una scelta per innovare il Paese”. “Forse si è guardato allo specchio”, ha risposto invece il segretario generale della Uil, Carmelo Barbagallo, precisando di riferirsi “non alla persona di Squinzi ma a una parte di ciò che rappresenta: é una parte del sistema delle imprese ad essere vecchia”. Getta acqua sul fuoco il segretario confederale della Cisl, Gigi Petteni: “non può essere il giorno delle polemiche”. Con “la forza” di un impianto unitario, sostiene, “dobbiamo dare un segnale nuovo e positivo al Paese”. Tre i pilastri del testo sindacale, approvato all’ unanimità dagli esecutivi di Cgil, Cisl e Uil: sulla contrattazione in senso stretto si confermano i due livelli con la centralità del contratto nazionale; gli aumenti salariali vengono legati non più (solo) all’ inflazione ma a “dinamiche macroeconomiche”, si punta ad implementare il secondo livello (aziendale o territoriale) e la produttività. Alla via contrattuale si rimandano anche i licenziamenti economici collettivi e disciplinari “per aggiornarli secondo il principio della proporzionalità tra mancanza e sanzione”, così come le mansioni. “In alternativa all’ ipotesi del salario minimo legale”, unico punto della delega sul Jobs act non esercitato dal governo che ha lascito alle parti sociali il tempo (ragionevole) per arrivare ad un accordo, Cgil, Cisl e Uil chiedono “l’ esigibilità universale” dei minimi salariali ma definiti dai Contratti nazionali, da sancire attraverso “un intervento legislativo di sostegno, che definisca l’ erga omnes dei Ccnl”, dando attuazione all’ articolo 39 della Costituzione. Richiamando un altro articolo della Carta (art.46), puntano sulla partecipazione dei lavoratori alle scelte delle imprese (alla governance, organizzativa ed economico-finanziaria). Sulla rappresentanza i sindacati partono dal consolidamento delle norme varate con il Testo unico del 10 gennaio 2014 con Confindustria e rimarcano che “un eventuale intervento legislativo non potrebbe che recepire” quanto definito dalle parti sociali.

(www.confcommercio.it, 26.01.2016)

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