Danilo Terra – La ricezione italiana del modello dualistico renano

Il decreto legislativo n.6 del 17 gennaio 2003 introduce in Italia, all’interno di una più generale riforma del diritto societario, la possibilità per le società per azione di adottare altri due sistemi di governance aziendale alternativi rispetto al tradizionale: il modello monistico e dualistico.

Quest’ultimo veniva inserito quale opzione strategica aziendale per una maggiore separazione tra la proprietà e potere di controllo aziendale attraverso l’interposizione di un organo di controllo, il consiglio di sorveglianza, tra l’assemblea dei soci e il consiglio di gestione e il trasferimento di alcuni poteri tradizionalmente assembleari al nuovo organo intermedio. Se da una parte la struttura formale coincide con il sistema di governance renano, tuttavia profonde sono le differenze in termini di competenze e composizione degli organi decisionali stessi. Al di là delle diversità di funzionamento tecnico del processo decisionale da un punto di vista di ripartizione di competenze, quel che maggiormente rileva in ottica di responsabilità sociale di impresa è la mancata ricezione dell’essenza del sistema renano: la codeterminazione strategica. La semplice interposizione di un consiglio di sorveglianza, seppur nella migliore delle ipotesi dotato di requisiti di diligenza e professionalità, tra l’assemblea e il consiglio di gestione non riesce né a prevenire le degenerazioni del conflitto di interessi del soggetto economico dominante né a generare quel salto sociologico su un piano di partecipazione inclusiva che rappresenta il principale obiettivo del modello renano. Il soggetto economico, tipicamente rappresentato nel contesto italiano dall’azionista di maggioranza nelle società a capitale concentrato, avrà il potere di nominare attraverso l’assemblea il consiglio di sorveglianza e indirettamente il consiglio di gestione, indirizzando le strategie aziendali verso obiettivi potenzialmente in conflitto con gli interessi degli altri stakeholder aziendali; l’intento del legislatore di separare formalmente la proprietà dal controllo strategico non genera su un piano sostanziale gli effetti desiderati.

Il codice civile, inoltre, prevede ‘’in caso di mancata approvazione del bilancio o qualora lo richieda almeno un terzo dei componenti del consiglio di gestione o del consiglio di sorveglianza la competenza per l’approvazione del bilancio di esercizio sia attribuita all’assemblea’’ (art.2409terdecies). Nello stesso articolo viene definita la possibilità che la competenza di determinazione dei compensi dei consiglieri di gestione (e, prima della correzione con avviso di rettifica del 4 luglio 2003, addirittura la nomina/revoca del consiglio di gestione) venga trasferita, attraverso dichiarazione statutaria, dal consiglio di sorveglianza all’assemblea stessa. L’art. 2409duodecies prevede, infine, che il consiglio di sorveglianza possa esser revocato anche senza giusta causa dall’assemblea, salvo risarcimento danni, e i requisiti di diligenza e professionalità richiesti ai consiglieri di sorveglianza, soprattutto nelle società non quotate, risultano meno stringenti rispetto ai sindaci del modello tradizionale, così come i relativi strumenti di controllo meno incisivi1.

Il combinato agire di tali fattori normativi determinano un notevole depotenziamento della funzione del consiglio di sorveglianza in termini di effettiva indipendenza di controllo sulla gestione; la revocabilità senza giusta causa, in particolare, rappresenta un’anomalia legislativa nettamente contrastante con la necessaria indipendenza richiesta dalla specifica funzione di controllo: prevedere formalmente un consiglio di controllo con specifici poteri, ma al tempo stesso con una revocabilità anche ingiustificata, determina a livello sostanziale la messa in discussione dell’indipendenza di giudizio. L’ulteriore spazio statutario concesso all’autonomia privata come possibilità di individuare le ‘’operazioni strategiche’’ e i ‘’piani industriali e finanziari’’ (art.2409terdecies), predisposti dal consiglio di gestione, che necessitano di delibera del consiglio di sorveglianza in questo contesto di dipendenza dall’assemblea degli azionisti, determina il rischio che il soggetto economico dominante utilizzi il consiglio di gestione per determinare indisturbatamente le strategie portanti, anche in contrasto con l’interesse sociale aziendale.

Lo stesso modello di governance dualistico, che la versione renana ha saputo valorizzare in termini di responsabilità sociale di impresa, diviene nella configurazione civilistica italiana uno strumento di governance non in grado di indurre estrinsecamente il soggetto economico a indirizzare l’azione aziendale su percorsi strategici condivisi con gli stakeholders dell’ambiente socio-economico di riferimento e a finalizzarla alla reale creazione di valore sociale. Le principali aree di miglioramento risultano rappresentate non solo dalla garanzia di indipendenza del controllo sul consiglio di gestione (eliminando in primis la revocabilità senza giusta causa e prevedendo requisiti di indipendenza almeno al livello dei sindaci del collegio sindacale), ma anche dalla diretta partecipazione di una fondamentale classe di stakeholder, i lavoratori, alla definizione delle strategie aziendali di indirizzo. Quest’ultimo obiettivo può esser raggiunto per mezzo di forme di codeterminazione strategica, validate empiricamente dall’esperienza renana, quali la partecipazione di rappresentati dei lavoratori ai consigli di sorveglianza e ai consigli di unità produttiva.

Gli strumenti di codeterminazione renani non devono esser visti come le uniche modalità di inclusività aziendale possibili, ma ne deve esser colto il significato sociologico che veicolano: la sostenibilità aziendale, e di riflesso del sistema sociale generale alla quale la prima contribuisce attraverso le esternalità sociali generate, non può prescindere dal diretto coinvolgimento, attivo e informato, dei lavoratori e degli altri stakeholders nella definizione (e non solo nell’implementazione) del sistema strategico aziendale ad ogni livello organizzativo e, quindi, dalla democratizzazione del soggetto economico.

1 Per ulteriori approfondimenti si veda: P.Abbadessa, F.Cesarini, Sistema dualistico e governance bancaria, Giappichelli Editore, 2009

Estratto tesi di laurea, anno accademico 2012-13, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”

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