“Diritti e democrazia industriale in Europa”, il seminario della Cgil. Un confronto con i maggiori sindacati europei.

È ormai chiaro che è l’Europa il campo sul quale si gioca l’enorme questione del lavoro, dei diritti, delle tutele, delle legislazioni, soprattutto dopo il decennio della crisi del capitalismo, e l’avvio di una nuova fase molto critica sul piano industriale. I problemi aperti sono tanti, sia a livello continentale, che soprattutto a livello di ogni singolo Paese, dove sono state adottate misure di relazioni e di politiche industriali talmente differenti da delineare in Europa una sorta di mosaico impazzito privo di un disegno unitario, razionale e definito. Su questi temi, la Cgil ha organizzato un workshop, un seminario, dal titolo “Diritti e democrazia industriale in Europa”, chiamando al confronto esponenti di importanti sindacati europei, giuristi, esperti, con le conclusioni affidate al segretario generale Maurizio Landini. Ha coordinato i lavori Susanna Camusso, ex segretario generale della Cgil e oggi responsabile dell’Area politiche europee e internazionali del sindacato di corso d’Italia.

Il confronto con le diverse realtà sindacali ha messo in evidenza le grandi fratture esistenti tra i diversi sistemi industriali europei e le diverse relazioni industriali che ne sono alla base. In particolare, il confronto ha coinvolto i segretari dei due sindacati maggiori francesi, la Cfdt e la Cgt, Yvan Ricordeau e Philippe Martinez, il segretario generale delle Comisiones Obreras spagnole, Unai Sordo, Maxi Leutchers, della Fondazione Hans Bokler della Ig Metall, Janet Williamson, funzionaria Tuc ed esponente delle Unions britanniche, e la segretaria confederale dei sindacati europei Ces, Isabelle Schomann. Il quadro che ne è emerso è di fatto la rappresentazione di tradizioni storiche, politiche, sindacali di ciascun Paese, e soprattutto il ventaglio di situazioni che si presentano dinanzi a ciascuna organizzazione sindacale, nel proprio Paese e nel rapporto di quest’ultimo con l’Europa.

In sostanza, sono stati tre i punti sui quali i leader hanno battuto: la condizione economica e i riflessi sul mercato del lavoro interno; la questione della contrattazione nazionale collettiva nel suo rapporto con la legislazione; la necessaria verifica delle regole sul salario minimo. In particolare, Martinez, segretario generale della Cgt francesce, ha sottolineato come la Francia si stia impoverendo, anche a causa delle riforme molto dubbie sul lavoro volute da Macron. E ciò non può che elevare il conflitto sociale. “Ho incontrato altre organizzazioni sindacali”, ha detto Martinez, “e lavoriamo sulle mobilitazioni, sugli scioperi interprofessionali, soprattutto contro la riforma delle pensioni”. Il segretario generale della Cgt ha poi elencato l’agenda degli scioperi previsti in un autunno francese che si annuncia “sindacalmente caldo”: dalla sanità alla scuola, agli scioperi sul clima, anche se sostiene che la questione pensionistica investe tutti. A partire ad esempio dalla parità salariale uomo-donna: “porre rimedio al gap salariale tra donne e uomini quando lavorano ha un impatto diretto sulle pensioni delle donne”, mentre sulla concertazione Martinez confida al pubblico della Cgil che, dopo averlo incontrato all’Eliseo, di Macron si fida poco.

Sulla concertazione, sulla cosiddetta Mitbestimmung tedesca, e sulla contrattazione, sono intervenute la delegata della Fondazione Hans Bockler, che ha presentato il progetto Workers’s Voice, che punta a recuperare il senso dell’azione sindacale e dei lavoratori all’interno delle aziende, e Janet Williamson, delle Unions britanniche, unite nel Tuc, Trade Unions Congress. Com’è noto la Mitbestimmung tedesca, tradotta in italiano con “codeterminazione”, è la presenza formale di rappresentanti dei lavoratori nei board delle aziende e alla loro partecipazione nei processi decisionali. Sulla traccia determinata dall’esperienza tedesca si è mossa anche la Tuc britannica con un rapporto presentato in Cgil. Nel rapporto si segnala quanto la contrattazione collettiva sia in realtà un bene comune che promuove salari più alti, una migliore formazione, luoghi di lavori più sicuri e orari più flessibili, e soprattutto una maggiore parità. In sintesi è ciò che la Gran Bretagna non ha, ed è il cuore della battaglia delle Unions. I sindacati britannici sono dunque impegnati in una lotta di enorme rilievo e valore, soprattutto in vista della Brexit, per dare accesso ai rappresentanti sindacali nei luoghi di lavoro per informare sui benefici dell’iscrizione al sindacato e del contratto collettivo; per dare nuovi diritti attraverso la contrattazione collettiva, il cui orizzonte si amplia per includere tutti i diritti, salariali e non solo (dalla maternità al congedo parentale), alla salute e alla sicurezza, alla formazione, all’organizzazione del lavoro, compresa l’introduzione di nuove tecnologie.

A sua volta Unai Sordo, segretario delle Comisiones Obreras spagnole, ha, nel suo intervento, fatto una breve esposizione della situazione socioeconomica e politica in Spagna, dove presto si andrà nuovamente al voto. Le incertezze segnalate da Sordo sono relative a alla decelerazione economica in alcuni Paesi europei, che si avviano verso la recessione, con gravi conseguenze sull’economia e sulla occupazione in Spagna; al blocco politico spagnolo, Psoe e Podemos, che ha costretto la Spagna a nuove elezioni, e di fatto certifica l’incapacità dei leader di essere all’altezza delle sfide del tempo; la costante precarizzazione del lavoro in Spagna che ormai colpisce quasi la metà della forza lavoro, e tiene in scacco i giovani, il cui tasso di disoccupazione è tra i più elevati d’Europa. Secondo Unai Sordo, stiamo assistendo a un nuovo ciclo economico mondiale, che presenta caratteri geopolitici, dalla guerra commerciale e monetaria che divide la Cina dagli Usa alla Brexit. Ciò rallenta il mercato mondiale, provocando molte difficoltà soprattutto in quei paesi, come la Spagna, a forte esportazione di prodotti. Sono state le esportazioni, ha proseguito Sordo, a consentire un aumento salariale medio del 2,3%, recuperando parte del potere d’acquisto perduto dai lavoratori durante la crisi. Ma Sordo segnala l’inquietante rallentamento dei consumi interni, che aumenta l’incertezza per molti lavoratori. Infine, Sordo ha voluto offrire una sua interpretazione del salario minimo, che in Spagna è stato elevato dal governo socialista da poco più di 600 euro a poco più di 900 euro. Un bel balzo in avanti, dice Sordo. Ma si chiede: cosa è il minimo? Per le Comisiones Obreras, il minimo salariale non può scendere sotto i 14mila euro annui netti. Solo così si può passare dalla mera sopravvivenza, al salario dignitoso. Perché, conclude Sordo, la questione del salario minimo è la questione della dignità del lavoro, non una mera concessione dei padroni. Sordo ha ricordato che il 7 ottobre sarà la Giornata mondiale del lavoro dignitoso, ed è in questa occasione che i sindacati devono alzare la propria voce per rivendicare un salario minimo dignitoso.

Raccogliendo le indicazioni pervenute dal seminario, Maurizio Landini ha poi tratto le conclusioni. “Credo che abbiamo cominciato ad arare il terreno con questo seminario. Ora si tratta di capire come seminarlo”. Ecco perché nonostante le differenze, “ci sono tanti punti in comune”. Intanto, “si è determinata in questi anni una decostruzione dei diritti, avvenuta grazie a processi trasversali che hanno cambiato le condizioni di lavoro in Europa. Ora si tratta di ricostruire un punto di vista comune che sia in grado di agire in una direzione unitaria. Il fatto che nei luoghi di lavoro le persone pur facendo lo stesso lavoro non hanno gli stessi diritti e le stesse tutele è il grande problema, che sta determinando la competizione tra le persone. Ed è il processo che punta a mettere in discussione il ruolo di rappresentanza generale delle organizzazioni sindacali”. Dietro l’idea dell’aziendalizzazione c’è un’idea di sindacato di mercato, accusa Landini. Al contrario, i nostri “sindacati hanno avuto sempre l’ambizione di essere soggetti di trasformazione sociale, soprattutto sul piano dei diritti civili”. Ora, come si ricostruisce in questo nuovo quadro un’azione sindacale che abbia di nuovo un respiro non solo nazionale, ma di dimensione europea? Non ha precedenti la concentrazione di ricchezza in mano a pochi, a poche multinazionali, che “hanno un modello comune che mette in discussione la legislazione sul lavoro”. Cosa significa? Una precarizzazione del lavoro mai conosciuta prima. Non sono aumentati i diritti dov’erano bassi. La delocalizzazione, ad esempio, ha messo in competizione i lavoratori, e chi aveva i diritti di fatto li ha persi, ha proseguito Landini, che ha criticato quel “pensiero unico che si è fatto strada in Europa, anche tra forze che si richiamano alla sinistra, al progressismo”, utilizzando le stesse logiche della destra. Due temi nuovi con i quali fare i conti: i giovani in modo nuovo scendono nelle piazze per dirci di cambiare il modello di sviluppo, e ciò chiama in causa le “organizzazioni sindacali in maniera radicale, superando perfino la codeterminazione. Non è più sufficiente il diritto all’informazione dei lavoratori”. Ciò significa rivendicare una pari dignità tra lavoro e impresa, riflette Landini, perché il livello di disuguaglianze che il modello capitalistico ha raggiunto mette in difficoltà le stesse imprese. Ed è qui che emerge come secondo punto la “centralità della contrattazione”, afferma Landini. Non si tratta più di mettere “in contrapposizione la legge e il contratto, ma di veicolare la legislazione attraverso la contrattazione”. Dunque, si tratta di ribaltare la logica, attraverso la contrattazione collettiva, che ha bisogno di regole democratiche della rappresentanza, sindacale e imprenditoriale. Naturalmente, “nel solco della Costituzione”, ha poi concluso Landini.

(Jobsnews.it)

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