Il fiume carsico della partecipazione, un seminario del Diario del Lavoro.

La partecipazione è un argomento carsico che periodicamente torna d’attualità. Le trasformazioni nel sistema della contrattazione, e soprattutto la sempre maggiore attenzione che viene prestata alla centralità della persona, riportano oggi in primo piano la collaborazione che è possibile realizzare tra il sistema della produzione e il protagonismo dei lavoratori e delle loro rappresentanze. Il dibattito oggi attraversa vari strati del mondo del lavoro, sia pure con attenzioni e sensibilità differenti.

Per approfondirlo e verificarne l’evoluzione, mettendo a confronto diverse esperienze e proposte, il Diario del Lavoro ha organizzato un seminario sul tema, chiamando a discuterne esponenti del mondo delle imprese, del sindacato, giuslavoristi ed esperti. Qui di seguito una sintesi dei diversi interventi.

Tiziano Treu, giuslavorista, già presidente del Cnel e Ministro del Lavoro, apre il suo intervento chiedendosi che cosa ci sia di nuovo nella proposta di legge presentata dalla Cisl sulla partecipazione. Afferma che esistono, in Italia, diverse sensibilità che confluiscono su questo tema e che c’è anche una direttiva europea molto aperta e ben disposta. La proposta di legge della Cisl contiene un prologo molto ricco e articolato sul valore della partecipazione alla luce dell’articolo 46 della Costituzione. La partecipazione viene presentata come un antidoto contro la cattiva gestione delle imprese, ma anche come una leva in grado di generare un progetto più ampio di democrazia economica. Uno degli aspetti innovativi della proposta è che la Cisl, che ha avuto sempre come guida la contrattazione, si affidi alla legislazione per questo tema. Dunque c’è una grande pressione in Europa che spinge avanti il dibattito sulla partecipazione, bisogna vedere come questa sarà recepita dal sistema produttivo italiano.

Patrizia Ordasso, responsabile delle relazioni industriali in Intesa San Paolo, sottolinea che la partecipazione è un aspetto presente anche nel nuovo contratto firmato dai bancari. Ovviamente pensare che il contratto nazionale disciplini ovunque la definizione della partecipazione è molto difficile. Questo perché nel credito ci sono varie tipologie di istituti con peculiarità proprie, quindi deve essere la contrattazione di secondo livello a ritagliare la partecipazione secondo le esigenze della singola realtà. Riguardo a Intesa, pensare a una partecipazione sulle governance vorrebbe dire rivedere l’intero assetto normativo, e questa strada sembra difficilmente percorribile. Sul piano, invece, della partecipazione organizzativa e ai risultati d’impresa, sia Intesa che il settore del credito hanno già sperimentato forme più evolute.

Per Filippo Contino, responsabile HR Policies Labour Legal & Industrial Relations Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane, la partecipazione, in questo momento di transizioni e innovazioni, è una grande opportunità per lo sviluppo del paese e delle relazioni industriali. Tuttavia, deve essere governata nel giusto modo. Per Contino, la partecipazione non si deve esplicare in una forma di potere, ma di responsabilità condivisa. Imprese e sindacati camminano assieme per pilotare il futuro dell’impresa, condividendone le difficoltà e i momenti positivi.

Bruno Serra, responsabile relazioni industriali di Eni, ritiene molto difficile attuare una partecipazione declinata sul piano della governance. Questo è uno dei nodi irrisolti delle relazioni industriali. In Eni viene da sempre applicato un modello di relazioni industriali molto partecipativo. Con la pandemia e i cambiamenti in atto, tecnologici ed energetici, la partecipazione diventa uno strumento sempre più strategico. Attraverso il contratto di espansione sono state rafforzate le occasioni di confronto con i sindacati.

Roberto Benaglia, segretario generale Fim-Cisl, distingue: un conto sono le relazioni industriali partecipative, e ce ne sono molte e molto raffinate, un conto è la partecipazione dei lavoratori alla vita dell’impresa. Sono due cose del tutto diverse. Perché mettere al centro la partecipazione? Perché l’Italia soffre sul piano della produttività, della competitività e sul piano della modernizzazione, ha bisogno di mettere in campo risultati vincenti. Le nostre relazioni industriali si basano ancora molto sul conflitto e la contrapposizione. In altri paesi i lavoratori vivono di possibilità di partecipazione molto più ampie. Ancora, uno dei problemi sono le oggettive resistenze del nostro paese: tante Pmi, forme di capitalismo familiare, molto innovativo e capace di generare crescita, ma con forti limiti su questo versante.

Gaetano Giannella, Head of Industrial Relations & Welfare di Leonardo, ritiene che la partecipazione abbia fatto buoni passi in avanti in relazione al nostro modello, senza dover cadere in un confronto con altri paesi. Le varie declinazioni della partecipazione sono più facce di una stessa medaglia. Se da noi si è sviluppata più una partecipazione di tipo più informativo che di governance, questa è frutto in un’evoluzione naturale del nostro sistema. In Leonardo la partecipazione si è sviluppata su più livelli. C’è un osservatorio strategico, che è la sede di manifestazione della partecipazione. Inoltre è stato confermato un modello partecipativo su molti aspetti, tra cui la riduzione dell’orario di lavoro, anche se siamo ancora agli albori.

Michel Martone, professore di diritto del lavoro alla Sapienza di Roma, dice che il forte sindacalismo italiano si è sviluppato prevalentemente sul piano contrattuale. La partecipazione, quella strategica, ha sempre faticato, perché concerne alla spartizione del potere decisionale. L’ultimo grande momento in cui c’è stata si è avuto durante il Covid, quando si era posto il problema di dover garantire la continuità produttiva. La domanda è se i lavoratori voglio partecipare alla spartizione dei poteri aziendali, che vuol dire anche responsabilità. Altrimenti avremo forme di partecipazione marginali e non strategiche.

Luciano Forresu, Global Head of Industrial Relations and Health, Safety & Environment in Pirelli, parte dal tema della responsabilità per inquadrare il fenomeno della partecipazione. Far ricadere sui lavoratori la responsabilità dei destini dell’impresa deve fondarsi su una rappresentanza forte dei sindacati. Altrimenti si rischia di avere una partecipazione vuota.

Fabrizio Solari, segretario generale della Slc-Cgil, parte dalla domanda di che tipo di partecipazione si vuole parlare. Solari esclude la partecipazione finanziaria e con un legame ai risultati d’impresa senza una contrattazione. Poi c’è una partecipazione che non è codificata ma che è legata a una contrattazione molto estesa e diffusa che si attua nel farsi carico sia degli obiettivi dell’impresa sia dei problemi quando questi compaiono. E questa è la più efficace. E davanti alla crisi della democrazia occidentale e all’accorciamento dei cicli politici, in un paese sviluppato le parti sociali, sindacali e datoriali, devono spingere l’acceleratore per un’autonomia dalla politica e chiedere a quest’ultima solo le regole del gioco, compresa la legittimazione delle parti sociali. Poi queste decidono tutto il resto.

Marco Micaroni, responsabile relazioni industriali in Autostrade, spiega che il modello partecipativo presente nel gruppo è sfociato nella realizzazione di un protocollo di filiera con i sindacati e Inail per la sicurezza sul lavoro.

Paola Perinu, responsabile relazioni industriali di Italo, ritiene che partecipazione e contrattazione vanno insieme finché non c’è una legislazione di supporto. La partecipazione è un tema carsico, che si muove in tutti gli accordi interconfederali. La partecipazione non può arrestarsi a relazioni industriali partecipative. I sindacati sono coinvolti e informati delle scelte ma di fatto ancora non possono incidere. In Italo ci sono diversi comitati che esprimono forme di partecipazione anche se in modo debole. C’è anche una partecipazione diretta nelle commissioni turno, che non sono istituzionalizzate, senza l’intermediazione del sindacato.

Paolo Pirani, consigliere Cnel, si interroga sulle origini dei vari movimenti che hanno spinto per la partecipazione dei lavoratori. In Svezia, nell’31, c’è stata una vera e propria rivolta operaia. Il modello tedesco nasce grazie agli Alleati. In Italia poteva succedere la stessa cosa, alla Fiat nel 1945 con il consiglio di gestione. Un’altra occasione mancata fu lo Statuto dei lavoratori, che il sindacato usò in termini conflittuali e non partecipativi. Rimane aperto il problema del potere e della gestione dell’impresa, soprattutto considerando che sono sempre più i fondi internazionali a possedere le aziende.

Laura Di Raimondo, direttrice di Asstel, analizza il tema della partecipazione in termini di responsabilità. La partecipazione diventa sempre di più uno strumento per affrontare le ricorrenti crisi che stiamo vivendo. Questo si è visto con i protocolli per gestire il Covid. La partecipazione può rappresentare un elemento per affrontare i cambiamenti, e nelle Tlc questo si è espletato con il contratto di espansione. Al livello confederale, il contratto nazionale oggi deve fare politica industriale. La realtà nuova del lavoro richiede grande coraggio dalle parti sociali.

Mimmo Carrieri, sociologo del lavoro, sostiene che, grazie al talento delle parti sociali, possiamo arrivare ad alti esempi di partecipazione, ma solo nelle emergenze, e senza un seguito. Quindi il tema è: come dare seguito a tutta questa vitalità. Il senso è quello di dare agli attori sociali obiettivi comuni. Oggi c’è la sfida della digitalizzazione, ad esempio. Poi serve chiedersi chi sono i soggetti della partecipazione: in altri paesi non ci sono solo i sindacati, ma anche i lavoratori stessi. Dove, infine, esercitare la partecipazione? Manca la partecipazione strategica.

(Il Diario del Lavoro)

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