Il sistema dualistico di amministrazione e controllo nella società per azioni.

Il sistema dualistico di amministrazione e controllo – come illustra la Relazione al d.lgs. n. 6/2003 (§ 6, I) – si ispira ai modelli disegnati negli ordinamenti tedesco e francese, ed allo Statuto della Società Europea, come regolato dal Consiglio dell’Unione con Regolamento dell’8 ottobre 2001, n. 2157. Il sistema si caratterizza per la presenza di un organo intermedio fra l’assemblea dei soci, proprietari dell’impresa, ed i gestori di questa: il consiglio di sorveglianza.

Il consiglio di sorveglianza nasce nella società azionaria tedesca (Aktiengesellschaft), sul finire del secolo diciannovesimo, come un comitato ristretto di azionisti, essenzialmente per sgravare di compiti l’organo assembleare.

L’assemblea dei soci, organo sovrano della società, è in origine investita dei più ampi poteri sulla gestione dell’impresa: essa nomina e revoca gli amministratori, impartisce loro direttive, vigila sul loro operato. La funzionalità di un sistema siffatto è pregiudicata dal progressivo ampliamento della base azionaria e dal corrispondente allontanamento della medesima dalle questioni attinenti alla amministrazione.

L’Aufsichtsrat viene così a sostituire l’assemblea nello svolgimento dei fondamentali compiti di vigilanza, garantendo l’effettività del controllo, ed in tal modo realizzando l’imprescindibile raccordo fra la proprietà e la gestione. Da longa manus dei soci, da questi nominato, con funzione minima di sorveglianza sul Vorstand, e successivamente, per traduzione normativa della prassi statutaria, con poteri di nomina e revoca degli amministratori e di approvazione del bilancio, l’Aufsichtsrat è poi evoluto in organo autonomo dell’impresa, strumento di partecipazione dei dipendenti, grazie alla composizione pluralistica (Mitbestimmung).

La traduzione nel nostro ordinamento del modello germanico è infedele sul punto qualificante della composizione dell’organo di controllo, essendo esclusa la cogestione: la partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’impresa, pur prevista dalla nostra Costituzione (art. 46), non trova, tra le parti, il consenso necessario per l’attuazione normativa. Del sistema d’origine comunque si ricalcano le linee fondamentali. Il consiglio di sorveglianza, nominato dall’assemblea – e non anche, come detto, dai dipendenti – non ha, in via di principio, poteri gestori in senso stretto. Esso svolge alcune fondamentali funzioni per tradizione proprie dell’assemblea: nomina (e revoca) dei componenti l’organo di amministrazione; approvazione del bilancio; promozione dell’azione sociale di responsabilità nei confronti dei gestori (competenza, quest’ultima, condivisa con l’assemblea, e con i soci rappresentanti una minoranza qualificata del capitale sociale). Al consiglio di sorveglianza è poi affidata la vigilanza sull’amministrazione, compito precipuo, nel sistema originario del codice – sostanzialmente riprodotto, in parte qua, nell’attuale modello “tradizionale” di amministrazione e controllo – del collegio sindacale. L’attribuzione, al consiglio di sorveglianza, di poteri inerenti alla organizzazione della società, normalmente spettanti ai soci, e soprattutto l’assenza di garanzie, per gli amministratori, in ordine alla stabilità della carica, prescindendo il potere di revoca dalla sussistenza di una giusta causa, hanno indotto a ritenere che il controllo del consiglio di sorveglianza investa il merito della gestione sociale. L’ingerenza nella gestione ha modo di realizzarsi direttamente, allorquando lo statuto – come è ora consentito, a seguito della correzione del decreto di riforma – conferisca al consiglio di sorveglianza il potere di deliberare in ordine alle operazioni strategiche e ai piani industriali e finanziari della società, predisposti dal consiglio di gestione (art. 2409-terdecies, comma 1°, lett. f-bis), c.c.): al consiglio di sorveglianza è per questa via riconosciuta una funzione di alta amministrazione.

Nel modello dualistico l’attività che costituisce l’oggetto sociale è condotta dal consiglio di gestione, che deriva solo indirettamente dalla volontà dei soci la propria legittimazione. I suoi componenti sono nominati dal consiglio di sorveglianza, formato di persone a loro volta scelte dagli azionisti, il quale vigila sull’amministrazione, ed approva il bilancio, disponendo di ampi poteri di reazione di fronte ad irregolarità nella gestione (denunzia al tribunale, azione sociale di responsabilità, revoca dei gestori). Il consiglio di sorveglianza è legato all’assemblea dei soci da un rapporto fiduciario, che trova garanzia nella possibilità per l’assemblea medesima di revocare i suoi membri anche in mancanza di una giusta causa. Oltre alla selezione degli organi di controllo (compreso il revisore), all’assemblea sono conservate le competenze in merito alla struttura della società (in sede straordinaria), e sulla distribuzione degli utili. Secondo questa articolazione, il modello dualistico di amministrazione – conclude la Relazione ministeriale – “è quello che più realizza la dissociazione tra proprietà (dei soci) e potere (degli organi sociali), e che è particolarmente adatto a società in cui la gestione sia affidata a managers autonomi e con poche interferenze dei soci”. Ed, infatti, maggiore sarà la propensione verso l’adozione del modello dualistico da parte delle società in cui manchi il c.d. capitale di comando, gli “azionisti imprenditori”, il cui investimento è funzionale all’esercizio dell’impresa: società i cui proprietari siano sostanzialmente disinteressati alla direzione, o inidonei alla funzione, per carenza delle necessarie capacità tecnico-imprenditoriali, ed alle quali è particolarmente adatto il sistema dualistico, proprio perché dispensa l’assemblea – investendone un organo professionale, che esercita allo stesso tempo il controllo di legalità e di efficienza sulla società – da attribuzioni attinenti alla gestione, quali la scelta degli amministratori e l’approvazione del bilancio, che presuppongono l’interesse, la volontà, le capacità mancanti nella base azionaria. Tra queste, sono senz’altro le società con azioni diffuse sul mercato, public companies, ove massimamente si verifica il fenomeno, evocato nella stessa relazione, della separazione fra proprietà (degli “azionisti risparmiatori”) e controllo (dei dirigenti). Alle società quotate è allora naturalmente destinato il modello dualistico.

Nel nostro ordinamento, uno statuto speciale è per queste società creato dal testo unico della finanza (d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58), che dedica particolare attenzione al momento del controllo sull’amministrazione, in considerazione della singolare importanza che la relativa funzione riveste in queste società, a tutela del pubblico risparmio. Emanato nella vigenza della disciplina del codice del 1942, il t.u.f. ha come esclusivo riferimento il collegio sindacale (cui viene in questa sede per la prima volta affiancato, per il controllo contabile, un revisore esterno – la società di revisione), che viene specialmente regolato sotto i profili della composizione, dei doveri e dei poteri. Si è resa pertanto necessaria, in conseguenza delle novità della riforma, una integrazione della disciplina originaria, ad evitare che le specificità degli organi di controllo dei nuovi modelli (consiglio di sorveglianza e comitato per il controllo sulla gestione) precludessero l’accesso al mercato delle società che ad essi facessero ricorso, ovvero determinassero pericolosi arbitraggi normativi tra modelli, per l’esito negativo del vaglio di compatibilità, in origine unico parametro per il coordinamento (cfr. art. 223-septies, comma 2°, disp. att. c.c.).

(N. Facchin, www.nicolafacchin.com, 13.06.2018)

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