Intervista a Raffaele Morese (Nuovi Lavori)

26, 27, 28 APRILE 2004 ROME ENERGY MEETING 2004 © MIMMO CHIANURA / AGF

26, 27, 28 APRILE 2004
ROME ENERGY MEETING 2004
© MIMMO CHIANURA / AGF

 Ci parli di lei…

E’ presto detto. Sono un “pensionato attivo” che continua a trovare intrigante occuparsi del destino del lavoro. Quello che fu nel recente passato ha fatto parte e non per poco tempo, del bagaglio culturale, professionale ed identitario che ho portato con me ovunque sia stato. 35 anni di sindacalismo industriale e confederale lasciano il segno.

Infatti, anche quando mi sono cimentato in altri campi – da quello del Governo a quello aziendale – il mio fare, il mio decidere, il mio pensare, il mio essere non hanno potuto prescindere dal mio passato. Ho risentito della grande lezione di umanità, di responsabilità, di solidarietà e di curiosità che ho ricevuto incontrando, discutendo, scontrandomi, accordandomi con la gente – dal più umile degli operai, al più acuto degli intellettuali, passando per il più tignoso degli imprenditori o il più coriaceo dei politici – che viveva del lavoro, nel lavoro e per il lavoro. Ora, che la qualità, oltre che la quantità del lavoro stanno cambiando rapidamente e profondamente mi piace osservare – attraverso il microscopio di Nuovi Lavori – gli sforzi che si stanno facendo per continuare a dare senso e dignità all’agire delle persone nel corso della loro vita lavorativa.

La partecipazione dei lavoratori all’azienda rappresenta un tema dibattuto con intensità al più altalenante nelle relazioni industriali italiane. Quali considera essere i principali ostacoli per il definitivo decollo?

La natura carsica dell’argomento “partecipazione” è incontrovertibile. Le forze che hanno teso a far ritornare sotto terra la questione, sono state sempre maggioritarie. All’opposizione più o meno costante della cultura liberale e dei tabù imprenditoriali, va aggiunta la mai superata diaspora all’interno della sinistra politica e del sindacalismo confederale. Infatti, la partecipazione è una visione, prima ancora che una modalità di governo di una comunità produttiva. E’ l’affermazione che sul lavoro è possibile superare l’alienazione propria del fordismo ma anche, ora, della scomposizione nanometrica del ciclo del valore. E’ la scelta di portare fino in fondo l’opzione per cui, anche sul lavoro, la persona non è solo un salariato ma anche un produttore. Quindi, per diminuire lo spessore degli ostacoli che ancora insistono su questo fronte, occorre un investimento culturale, innanzitutto. Non si fa nessun passo in avanti se l’economia e non solo l’ergonometria non diventano più collaborative; se il diritto del lavoro non segue il divenire del lavoro, per meglio tutelarlo, ma preferisce rimanere ancorato a vecchi, sebbene nobili, paradigmi; se le scienze sociali si arenano sul bagnasciuga della “società liquida” e non riescono più ad elaborare una strategia di recupero della dispersione delle soggettività.

Quali le potenzialità in ottica di inclusione sociale e competitività economica e le prioritarie strategie nel contesto italiano?

Provando a stare dalla parte degli ottimisti, qualche potenzialità si può intravvedere. La globalizzazione, pur provocando molte distorsioni, ha il merito di sollecitare una competizione che pretende un “saper fare” sempre più qualificato. Resta indietro chi gioca le proprie carte soltanto sul basso costo del lavoro e sull’alto tasso di condizionamento dei diritti individuali e collettivi. Se così è, non basta avere la migliore tecnologia. Le macchine si possono copiare e prima o poi tutti si approvvigionano delle migliori. Ci vogliono anche le migliori teste o almeno teste che cooperano. Questa prospettiva viene assicurata meglio se un’organizzazione aziendale è orientata alla partecipazione piuttosto che al dirigismo. Accanto alla globalizzazione, soprattutto in Europa, giocherà sempre più un ruolo decisivo la capacità di far convivere etnie, culture e religioni diverse. L’immigrazione provocherà squilibri e sconquassi, ma non si fermerà e fornirà anche energie nuove per alimentare il progresso. I Paesi che riusciranno a produrre la migliore integrazione sociale saranno anche quelli che saranno più avvantaggiati a portare avanti strategie di partecipazione.

Quest’ultime sono note: vanno dalla partecipazione sul lavoro e quindi riguardano l’organizzazione del lavoro; alla partecipazione alle decisioni strategiche e quindi aprono la questione delle forme di coinvolgimento dei lavoratori nella governance delle medie e grandi imprese; alla partecipazione alle grandi opzioni d’investimenti nel Paese e quindi si riferiscono all’orientamento dei fondi pensionistici alimentati da risorse dei lavoratori. Finora, in mezzo a tante contraddizioni, è prevalso il gradualismo. Ci si è concentrati sulla prima delle forme di partecipazione e non mancano significative esperienze. Anche se sono relativamente poche, rispetto alle potenzialità. Quasi nulla sugli altri due fronti, sia sul piano legislativo che contrattuale. E forse, sta proprio in questo gradualismo di fatto la debolezza della strategia della partecipazione. Se tale deve essere, va esplicitata a tutto campo. Cioè, devono esserci proposte che riguardino tutti i fronti d’intervento e che nel loro insieme diano un senso compiuto alla volontà di far progredire una vera e diffusa partecipazione dei lavoratori alle sorti della propria azienda e del proprio Paese.

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