Intervista a Tiziana Bocchi (UIL)

0030_bocchi_aLa partecipazione dei lavoratori costituisce da tempo un pilastro centrale in molti contesti esteri (in particolare dell’area renano-scandinava) che ne hanno saputo fare un fattore strategico in ottica di competitività economica e inclusione sociale; contesti che si distinguono sullo scenario globale per relazioni industriali costruttive e finalizzazione comune verso l’interesse primario aziendale. Quali le potenzialità socio-economiche?

Assumere la Partecipazione ad elemento strutturale di sistema, date le caratteristiche dello scenario globale ed europeo, significa, per il sindacato confederale italiano, contribuire concretamente alla mutazione e all’evoluzione del “sistema impresa Italia”, affinchè possa svolgere il ruolo che gli spetta all’interno della rivoluzione tecnologica e digitale permanente che ha assunto oggi la denominazione di “Rivoluzione Industriale 4.0”.

Fermo restando il peso delle molteplici variabili – innanzitutto internazionali e finanziarie – che interagiscono all’interno di questo scenario, non c’è dubbio che la mutazione in corso dei “paradigmi” dei sistemi economici – in chiave di velocità, complessità, flessibilità, trasversalità e interdipendenza – investe e investirà in modo permanente innanzitutto “la prima linea” del modello di sviluppo – l’Impresa e il Lavoro – vale a dire il soggetto e la risorsa fondamentali per creare produttività, competitività e ricchezza.

Il ruolo e l’apporto dei Lavoratori e del Sindacato – all’interno di una Contrattazione Collettiva a tutti i livelli capace di valorizzare professionalità e salari e di rilanciare settori, filiere e territorio – diventano pertanto elemento essenziale di un Modello di Relazioni Industriali e di un Modello d’Impresa che concorrano allo sviluppo innovativo e competitivo.

La scelta della Partecipazione – tanto più se inserita in un quadro organico di politiche economiche e di coesione sociale che assuma in primo luogo la priorità di un Progetto Strategico di Politiche Industriali – può dunque contribuire al rilancio della crescita economica, dell’occupazione e dei salari.

Una scelta che contribuirebbe anche allo sviluppo del Modello economico, sociale e culturale europeo, già di per sé partecipativo in termini maggioritari, seppure con caratteristiche e strumentazioni diverse.

Quali gli elementi che ne hanno impedito il decollo in Italia?

Il modello italiano è sempre stato un modello fondamentalmente contrattuale – sul piano economico, sociale e culturale – con forti radici di natura conflittuale.

Per Cgil Cisl Uil, fino a ieri, era impensabile una formalizzazione unitaria e condivisa di scelte strategiche in materia di partecipazione alla governance d’impresa, di modelli e strumenti di partecipazione organizzativa nell’innovazione dei processi produttivi, di sperimentazione partecipativa in materia economica e finanziaria.

Il 14 gennaio di quest’anno infatti le tre Confederazioni hanno compiuto un salto politico e culturale di portata storica, varando unitariamente un “Nuovo Modello di relazioni Industriali” che assume la Partecipazione come uno dei suoi assi strategici.

Il Modello d’Impresa Italiano, al contrario, mostra ancora tutti i suoi limiti – oggettivi e soggettivi – sul piano dimensionale, sul piano manageriale e culturale, sul piano degli investimenti ( Innovazione e Partecipazione sono ancora fattori di costo e non scelte strategiche ).

I lavoratori italiani e il sindacato si aspettano dal mondo imprenditoriale un salto di qualità nelle scelte e nei fatti analogo a quello compiuto da Cgil Cisl Uil.

Dal quadro istituzionale, fino ad oggi condizionato dalle contraddizioni e dai ritardi delle imprese italiane, ci aspettiamo iniziative legislative di sostegno che – con “leggerezza” e coordinamento organico – permettano di integrare e coniugare il “modello contrattuale” con il “modello partecipativo”.

Quali le prioritarie strategie a livello legislativo e di parti sociali, complementarmente ai temi della rappresentanza e della contrattazione, per una riforma sistemica delle relazioni industriali italiane?

La via italiana verso il “modello partecipativo” – che, ritengo necessario e opportuno ribadirlo, deve integrarsi gradualmente con la cultura e le prassi consolidate del “modello contrattuale” – non potrà e non dovrà avere “tempi storici” ma, altrettanto, non potrà e non dovrà essere sottoposta a scorciatoie o forzature, anche legislative, in assenza di un accordo tra le parti.

Ma ancora meglio sarebbe non fermarsi alla logica delle “normative parziali” o a quella degli “avvisi comuni”, per affermare l’esigenza prioritaria, visibile e condivisa di una visione e di un disegno strategici per il nostro Paese.

Ben vengano allora i dispositivi legislativi che coniugano la detassazione dei premi di produttività con forme sperimentali di partecipazione; ben venga anche un possibile ed auspicabile “avviso comune” tra le parti sociali sul Nuovo Modello delle Relazioni Industriali, capace di fare propria anche la scelta strategica della Partecipazione ( tutto da verificare !! ).

Ciò che avrebbe davvero un forte valore strategico sul piano economico e sociale allo scopo di “agganciare” realmente quella seppur live tendenza alla crescita – e ciò a maggior ragione perché in presenza delle forti tensioni che agitano l’Europa e l’Italia – sarebbe la volontà e la capacità delle Parti Sociali maggiormente rappresentative e delle istituzioni di stringere – nelle forme possibili, ma soprattutto nella sostanza delle politiche industriali e delle politiche contrattuali e sociali – una sorta di “Patto per lo Sviluppo” che poggi su solide basi negoziate e condivise e che sia realmente capace di misurarsi con le sfide del “villaggio globale”.

 

 

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