Partecipazione dei lavoratori e trasformazione digitale.

1. Il rinnovato interesse per il metodo partecipativo nel sistema italiano di relazioni sindacali

Il modello partecipativo ha storicamente occupato una posizione secondaria nel sistema italiano di relazioni sindacali, incentrato fin dall’avvio dell’esperienza repubblicana sul binomio conflitto-contrattazione collettiva.

L’art. 46 Cost., che riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione delle aziende “nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi”, è rimasto sostanzialmente inattuato, e i casi di rapporti tra imprese e lavoratori condotti all’insegna di una collaborazione formalizzata mediante uno specifico sistema di regole, com’è tipico dei modelli partecipativi maturi, sono rimasti relegati a peculiari contesti di settore (ad esempio l’artigianato) o a situazioni ambientali particolarmente favorevoli.

Eppure, le recenti dinamiche sociali, economiche e tecnologiche, in particolare la c.d. “trasformazione digitale”, sembrano aver determinato le condizioni per un rilancio di questo metodo, non in contrapposizione bensì in coordinamento con quello classico della contrattazione collettiva.

Il 9 marzo 2018, Confindustria, Cgil, Cisl e Uil hanno sottoscritto il “Patto della Fabbrica” un accordo interconfederale sugli indirizzi della contrattazione collettiva (il titolo esatto è “Contenuti e indirizzi delle relazioni industriali e della contrattazione collettiva”). Il testo esordisce affermando che gli stipulanti “ritengono che un sistema di relazioni industriali più efficace e partecipativo sia necessario per qualificare e realizzare i processi di trasformazione e di digitalizzazione nella manifattura e nei servizi innovativi, tecnologici e di supporto all’industria”. Il Patto ritorna poi sul tema in una specifica sezione (6.g), in cui coinvolgimento e partecipazione sono descritti come funzionali ad una “diversa relazione tra impresa e lavoratori”, resa necessaria dai cambiamenti economici, produttivi e tecnologici, e perseguibile attraverso gli interventi della contrattazione collettiva aziendale e nazionale di categoria: contrattazione alla quale si demanda il compito di “valorizzare, nei diversi ambiti settoriali, i percorsi più adatti per la partecipazione organizzativa”.

2. Partecipazione dei lavoratori e trasformazione del contesto produttivo

Ma da dove deriva questo nuovo impulso al metodo partecipativo? Per comprenderlo occorre definire, almeno per sommi capi, la nozione di partecipazione. Essa designa un metodo di governo dell’impresa basato sulla procedimentalizzazione dei processi decisionali, per mezzo della quale i lavoratori o i loro rappresentanti possono esercitare un’influenza nella sfera delle prerogative imprenditoriali. L’intervento dei lavoratori e delle lavoratrici si può realizzare secondo diversi gradi di intensità, spaziando dalla mera instaurazione di un dialogo all’esercizio di un vero e proprio potere inibitorio verso l’adozione di decisioni non condivise. Nel modello più radicale, quello tedesco della cogestione, è previsto che i rappresentanti dei lavoratori e delle lavoratrici occupino un posto negli organi di governo delle imprese.

La partecipazione non comporta, come paventato da alcuni critici (e sostenuto per ragioni opposte da una certa retorica aziendalista) la negazione della dialettica tra interessi datoriali e sindacali, né il suo appiattimento sulla posizione dell’attore più forte. Al contrario, il suo carattere di metodo dinamico di creazione di regole lo rende particolarmente adatto ad affrontare con strumenti democratici una realtà mutevole e complessa come quella attuale, a cui è necessario dare risposte attraverso un processo continuo di adattamento delle decisioni organizzative.

Non per caso, alla partecipazione hanno fatto riferimento anche le parti sociali europee nel loro Accordo quadro sulla digitalizzazione, stipulato nel giugno 2020. Gli attori europei prefigurano un processo di partnership circolare per la digitalizzazione del lavoro, concordato e gestito congiuntamente da imprese, lavoratori e loro rappresentanti, ciascuno secondo le proprie competenze. Tale processo dovrebbe coprire tutte le materie e le fasi organizzative coinvolte nella digitalizzazione delle imprese, dalla predisposizione del contesto al monitoraggio delle azioni adottate, e garantire il presidio di questioni cruciali per la qualità del lavoro e i diritti delle persone, come le competenze digitali, le modalità di connessione e disconnessione, la garanzia del controllo umano nell’uso dell’intelligenza artificiale e il rispetto della dignità umana nei sistemi di sorveglianza.

3. La partecipazione nel diritto positivo

Sul piano del diritto positivo, la partecipazione dei lavoratori ha la propria fonte principale nel diritto europeo e nella legislazione derivata, che disciplinano in particolare i diritti di informazione e consultazione. Ai sensi del d. lgs. n. 25 del 2007, tali istituti comportano in primo luogo la trasmissione di dati dall’imprenditore ai rappresentanti dei lavoratori su questioni di interesse aziendale tra cui, ad esempio, le decisioni dell’impresa che siano suscettibili di comportare rilevanti cambiamenti dell’organizzazione del lavoro, e in secondo luogo lo scambio di opinioni o dialogo tra le parti, finalizzato a ricercare un accordo sulle decisioni del datore di lavoro attinenti alle materie oggetto di confronto.

Si tratta quindi di un modello di partecipazione “debole” (o, nel linguaggio del legislatore europeo, di un semplice “coinvolgimento”), che condiziona il datore di lavoro ma non lo spoglia delle proprie prerogative legali. Non è tuttavia escluso che, anche attraverso l’autonomia collettiva, sull’impianto legale dei diritti di informazione e consultazione possano edificarsi forme più avanzate e “intrusive” di partecipazione, come ad esempio la codeterminazione.

Qui ritorna il tema, evocato in apertura, della non alternatività tra partecipazione e contrattazione collettiva. Che i due strumenti siano collegati da un nesso avente rilevanza anche sul piano giuridico trova conferma nella pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea sul caso Allianz Vorsorgekasse (C-699/2017) nell’ambito della quale i giudici di Lussemburgo hanno qualificato i diritti di codecisione esercitati dal comitato aziendale, così come disciplinati dalla legislazione austriaca sul regime previdenziale, quali espressione del diritto fondamentale di negoziazione collettiva di cui all’articolo 28 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, negando, dunque, la sussistenza di rapporto di contrapposizione tra il modello partecipativo e la contrattazione collettiva.

4. La partecipazione nella contrattazione di categoria: il caso del CCNL metalmeccanici

Gli indirizzi dettati nel “Patto della fabbrica” hanno influenzato le successive tornate della contrattazione collettiva ai diversi livelli.

Tra le esperienze più significative merita di essere annoverata quella del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro del settore metalmeccanico, che, registrando una significativa apertura alla partecipazione dei lavoratori, ha determinato una discontinuità nell’andamento delle relazioni industriali del settore, tradizionalmente improntate alla conflittualità.

In particolare, l’art. 9-bis del CCNL incentiva la sperimentazione di iniziative di coinvolgimento e partecipazione dei lavoratori nell’impresa, nella prospettiva di modernizzare il sistema delle relazioni industriali così da ottimizzare i processi organizzativi aziendali a beneficio sia del rendimento aziendale che della qualità del lavoro.

Il modello partecipativo sperimentale si fonda su un dialogo sociale e una collaborazione continui, da mettere in atto a livello aziendale mediante la costituzione di gruppi di lavoro che si confrontino quotidianamente sulle diverse fasi del processo produttivo, affrontando le criticità e sfruttando le opportunità.

Il CCNL insiste inoltre sui profili della specializzazione e dell’onnicomprensività del metodo partecipativo. Da un lato, si precisa che la composizione di ciascun team di lavoro deve essere tale da includere necessariamente un rappresentante dei lavoratori, oltre ad altri membri che svolgono le diverse funzioni aziendali, dovendo esaminare e risolvere questioni di varia natura organizzativa e produttiva.

D’altro canto, si sottolinea che il sistema partecipativo sperimentale, pur potendo estendersi indistintamente a tutte le dimensioni della vita aziendale, dovrebbe trovare prediletta attuazione in sede di perseguimento di obiettivi, quali quelli orientati all’incremento di innovazione, al miglioramento organizzativo continuo e al governo delle criticità, la cui realizzazione potrebbe risultare più vantaggiosa grazie alla partecipazione diretta e al coinvolgimento dei lavoratori.

Rispetto all’attuazione concreta del modello, il CCNL sposta la scelta sul livello aziendale sia rispetto al se che al come. L’impresa potrà dunque stabilire, di concerto con le RSU, di attuare il modello anche mediante la predisposizione di un “Protocollo sulla partecipazione”. Del pari, il CCNL lascia liberi gli attori aziendali di definire come organizzare le procedure partecipative (ad esempio mediante la costituzione di organismi ad hoc, anche suddivisi per materia) e il relativo grado di intensità della stessa (ad esempio, semplice consultazione o vera e propria codecisione).

(Altalex)

 

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