Primo Maggio. Furlan (Cisl): «Il nodo sta nella partecipazione».

«Condivido in pieno il messaggio dei vescovi italiani. Il lavoro va ben oltre il suo valore economico, perché è indissolubile dalla persona e dalla sua dignità. Lavorare significa non solo procurare sostentamento per sé e per la propria famiglia, ma anche partecipare alla comunità. Ha un fondamentale valore sociale. Ma quando non c’è oppure sottrae la persona ai valori della famiglia e della comunità viene meno ai propri principi. A partire dal primo articolo della nostra Carta». Si rifà alla Costituzione, laddove recita che l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro, il segretario generale della Cisl, Annamaria Furlan, per sottolineare e ribadire la centralità del lavoro, alla vigilia della festa che ne proclama, laicamente, la “sacralità”.

Nel messaggio della Chiesa italiana quella del lavoro è considerata una delle prime emergenze…

Il lavoro è il dna dei valori di una comunità e della persona, perché racchiude in sé anche i concetti di solidarietà, giustizia, eguaglianza e crescita di un Paese. Certo, l’emergenza di maggiore attualità oggi è proprio il lavoro: la sua mancanza, il lavoro che si perde, che si ha paura di perdere o che non si trova. Al centro del Paese occorre rimettere crescita, sviluppo e “buon lavoro”. Ci vuole una iniezione di fiducia per il sistema Italia. E il caso di Alitalia è emblematico, è mancato un elemento fondamentale.

A che cosa si riferisce?

Durante l’ultimo vertice avevo proposto di puntare sulla diretta partecipazione dei lavoratori per definire il futuro dell’azienda. Se noi guardiamo al resto dell’Europa, i Paesi che sono usciti prima di tutti dalla crisi economico-occupazionale, Germania in testa, sono proprio quelli in cui, in molte grandi imprese, i lavoratori partecipano direttamente. A partire dalle strategie industriali.

Proprio dai lavoratori, però, è arrivato il definitivo affossamento di Alitalia…

Intanto, a condannare l’azienda sono stati anni di scelte manageriali assolutamente sbagliate. Poi, purtroppo, intorno si sentivano suonare le sirene dei populismi della politica e sindacali, con messaggi sbagliati. E qualcuno al referendum ha consigliato di votare no all’accordo, pensando che Alitalia sarebbe poi stata nazionalizzata. Nulla di più falso, ovviamente. Ma è inutile guardare al passato. Ora abbiamo davanti due scenari.

E quali sarebbero?

O, il 2 maggio, l’assemblea degli azionisti di Alitalia deciderà di mettere mano al portafoglio e rifinanziare l’impresa oppure ci sarà la richiesta del commissario. Del resto, abbiamo avuto altre esperienze di grandi aziende commissariate. Penso a Parmalat o Ilva. Molto dipenderà dalla qualità del commissario e dal tipo di commissariamento. L’importante è evitare una vendita di Alitalia in tante porzioni. Si devono invece trovare nuove alleanze e nuovi investitori per rilanciare un piano industriale forte. E in questo possibile scenario vedrei proprio il modello partecipativo dei lavoratori.

Lavoratori che sono invece rimasti inascoltati a Pasqua, all’outlet di Serravalle…

Questa è l’altra emergenza sociale legata al lavoro. La battaglia fatta a Serravalle è molto giusta perché ha ricordato che il lavoro è al servizio della crescita dell’uomo e non il contrario. Questa costrizione al lavoro festivo è l’antitesi del valore sociale del lavoro stesso. Far lavorare a Natale, Pasqua e il Primo Maggio nei centri commerciali oltretutto non fa salire i consumi nemmeno dello zero virgola. I consumi degli italiani potrebbero salire semmai se il governo facesse una riforma fiscale che rendesse più pesanti le pensioni e le buste paga. Altro che tenere aperti gli outlet e impedire ai lavoratori di vivere la domenica in famiglia.

Di chi è la colpa di questa deriva valoriale?

Dal punto di vista pratico è conseguenza della completa liberalizzazione voluta dal governo Monti. Ma poi ci vuole anche un po’ di educazione collettiva da parte dei cittadini, affinché non si ritenga necessario andare a comprarsi un maglione proprio il giorni di Pasqua. Ci sono tanti altri giorni nell’anno per farlo.

(M. Londini, www.avvenire.it, 29.04.2017)

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