Sovranità e lavoro: la “terza via italiana” che sfidò il modello anglosassone.

Ci sono alcuni libri che sono oro. Uno di questi è senza dubbio La terza via italiana: storia di un modello sociale (Castelvecchi, pp. 175, € 23,50) scritto dal giovane studioso Francesco Carlesi. Con «terza via italiana» l’autore intende quel modello sociale che, nascendo con il corporativismo fascista, sopravvisse fin nel dopoguerra dando impulso al «miracolo economico». I princìpi su cui si reggeva questa terza via erano la collaborazione di classe, la partecipazioni dei lavoratori, l’intervento dello Stato, spesa pubblica espansiva, protagonismo economico, programmazione, superiorità della politica sull’economia. Tutto il contrario, insomma, del modello anglosassone, fondato sul capitale speculativo, gli oligopoli delle multinazionali, l’onnipotenza del mercato, lo Stato ridotto a notaio e un colonialismo (politico ed economico) di rapina.

Una nazione industriale

Carlesi divide il suo libro in due sezioni principali. Nella prima ricostruisce tutta l’architettura del corporativismo fascista, attingendo alle ricerche più aggiornate sul tema, che hanno completamente ribaltato una vulgata che per troppi anni ha «smafioseggiato» negli ambienti accademici: il corporativismo non fu affatto una mera «patina propagandistica del regime», ma accompagnò importanti mutamenti della società italiana. Sebbene la sua architettura sia rimasta incompleta, infatti, il suo modello sociale pose le basi per il boom degli anni Sessanta. È negli anni Trenta che l’Italia divenne a tutti gli effetti una nazione industriale. Malgrado la crisi del ’29, l’Italia fascista si risollevò facendo ricorso alla terza via, oltre il capitalismo e il collettivismo: la costituzione dell’Iri farà infatti da volano alla ripresa economica. E non è un caso – come Carlesi giustamente evidenzia – che il presidente degli Stati Uniti Roosevelt abbia inviato i tecnici del New Deal a studiare le riforme corporative

L’«insubordinazione fondante»

La seconda sezione del libro è invece dedicata al secondo dopoguerra, con l’analisi di esperienze come l’Eni di Enrico Mattei o il modello «semi-corporativo» di Adriano Olivetti. In un passaggio molto originale dell’opera, Carlesi mette altresì in evidenza quel fiume carsico che porterà i princìpi corporativi a inondare alcuni articoli della Costituzione italiana. Chiudono il volume quattro biografie di figure che hanno fornito un contributo notevole alla terza via italiana (Giuseppe Mazzini, Giovanni Gentile, Bettino Craxi e Gaetano Rasi). Il cuore dell’interpretazione dell’autore è che la terza via italiana abbia rappresentato un’«insubordinazione fondante». Questo concetto, coniato dal politologo argentino Marcelo Gullo, indica «il momento storico in cui un Paese si ribella ai precetti economici liberisti per garantirsi l’unica possibilità di sviluppo autonomo: intervento statale e nascita di un solido settore industriale basato sulle eccellenze nazionali». Ecco, la terza via italiana fu anche questo. E in un periodo in cui assistiamo alla desovranizzazione e deindustrializzazione dell’Italia, Dio solo sa quanto la nostra nazione ne avrebbe ancora bisogno.

(Il Primato Nazionale)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *