A tu per tu con Anil Verma. Partecipazione dei lavoratori e lavoro dignitoso.

Ho letto che tra i suoi interessi scientifici vi sono anche forme partecipative di organizzazione del lavoro. Io sto svolgendo una internship in Cisl, la quale sta proponendo una legge di iniziativa popolare proprio sulla partecipazione dei lavoratori. Sono molto interessata a conoscere la sua opinione rispetto a questo tema.

In particolare, quali differenze riscontra nei Paesi o nelle imprese dove sono presenti forme di partecipazione di lavoratori rispetto a realtà in cui queste non esistono?
Quali sono i vantaggi e quali i possibili risvolti per imprese e lavoratori?

In molti Paesi europei la partecipazione dei lavoratori è disciplinata dalla legge. Il miglior esempio è la Germania, in cui suddetta partecipazione non riguarda solo la presenza di lavoratori all’interno dei consigli di amministrazione, ma sono previsti anche i consigli dei lavoratori a livello di fabbrica. I consigli sono formalmente eletti dai lavoratori e devono essere informati e consultati.
Inoltre, la letteratura scientifica ci dice che quando si verifica una crisi come quella finanziaria del 2008-2009, quando si è in fase di recessione, quando è necessario ristrutturare i processi di produzione (come, ad esempio, per il settore siderurgico), i Paesi in cui sono presenti sistemi di consultazione dei lavoratori forniscono risposte più efficaci rispetto a quelli in cui non sono presenti.
In Canada, sono pochi gli esempi di questo tipo, non essendo attivo un vero e proprio processo di partecipazione dei lavoratori. Ciò comporta che, quando le imprese sono colpite da crisi e recessioni, si trovano a dover intervenire per ridurre il numero dei dipendenti, dando luogo a conflitti. A volte, si verificano anche scioperi violenti per via del mancato dialogo tra lavoratori e datori di lavoro.
Per tale ragione, in situazioni in cui si verifichi l’esigenza di modificare i processi e adeguare l’occupazione, intervenire sulla retribuzione o trasferire il personale, la presenza di un organo consultivo dei lavoratori semplifica la ricerca di soluzioni migliori e condivise, evitando malumori. Al contrario, in caso di assenza di strutture di questo tipo, la componente manageriale decide in autonomia, generando malcontento tra i lavoratori, i quali si mobilitano creando disagi.

Quale ruolo possono avere le parti sociali (sia sindacali che datoriali) nel contesto dell’innovazione sociale al fine di promuovere il lavoro dignitoso?

Questo è stato l’argomento della mia relazione al convegno. La tesi è che, per promuovere l’emersione del lavoro informale, è necessario ribaltare il paradigma di formalità che tutti conosciamo, il quale prevede che il lavoratore sia assunto da un’azienda tramite un contratto, che paghi le tasse, e così via.
Tenendo conto che milioni di persone al mondo guadagnano non più di uno o due euro al giorno, questo approccio alla formalità non funziona e non è sostenibile. Bisogna quindi pensare alla formalità come ad un percorso verso un lavoro dignitoso. Di cosa hanno bisogno questi lavoratori? Di uno stile di vita migliore, di retribuzioni più alte, di sicurezza sul lavoro. Il punto di partenza, a mio avviso, è dare alle persone una voce collettiva: in ogni Paese dovrebbe esserci una legge che consente ai lavoratori di organizzarsi collettivamente e di contrattare.
Sebbene ciò sia più semplice laddove esiste un datore di lavoro, è altrettanto vero che non sempre è così. Per tale ragione, la contrattazione va rivolta a chi controlla le risorse utili a guadagnarsi da vivere.
Facciamo l’esempio di chi si occupa di raccogliere i rifiuti: esistono lavoratori che, in autonomia, raccolgono i rifiuti sparsi per la città, li smistano e li rivendono ai grossisti che si occupano di riciclo.
Questi lavoratori non hanno un datore di lavoro, e le loro condizioni occupazionali sono pessime. Se si organizzassero collettivamente, potrebbero negoziare con gli amministratori locali, come avviene in Brasile, dove abbiamo svolto molta ricerca sul campo.
In Brasile, i rifiuti delle famiglie vengono portati in apposite aziende. Esiste un sistema di raccolta formale, che viene svolto con il supporto di mezzi che trasportano i rifiuti in luoghi adeguati. Ma alcuni lavoratori devono accedere informalmente ai rifiuti per poterla rivendere e sopravvivere. È un lavoro sporco e pericoloso. Sono spesso trattati come criminali, ma in realtà fanno un lavoro prezioso perché contribuiscono al riciclo. Infatti, i sistemi tradizionali non hanno come fine il riciclo, ma solo la raccolta. Questo è un esempio di lavoratori che dovrebbero organizzarsi collettivamente per negoziare con il governo e con le amministrazioni locali e chiedere normative che consentano di avere accesso ai rifiuti al fine di migliorare i processi di riciclaggio. Alcune associazioni sembrano riuscire a lavorare in questa direzione: a volte sono sostenute dalle amministrazioni locali, anche se non esiste ancora una politica univoca. Ad oggi, i miglioramenti delle condizioni di questi lavoratori in Brasile derivano dalle leggi sulla tutela dell’ambiente.
Le associazioni possono prendere accordi con le aziende per chiedere i rifiuti e occuparsi del processo di riciclo. Sempre più aziende stanno accettando di farlo, ma non su scala nazionale. Questo approccio potrebbe chiaramente cambiare nel momento in cui ci fosse una legge che riconosce i lavoratori come tali.

Nella mia internship, mi occupo di somministrazione e ogni giorno entro in contatto con le agenzie per il lavoro. Ritiene che le agenzie per il lavoro, con la loro attività di intermediazione, possano contribuire alla promozione del lavoro dignitoso (così come inteso dall’OIL) e al contrasto del lavoro nero?

Le agenzie sono datori di lavoro. Ora, a causa della loro crescita in un certo numero di giurisdizioni, come ad esempio nella provincia di Ontario, in Canada, queste agenzie sono anche soggette ad alcuni obblighi giuridici, cosa che non avveniva per esempio vent’anni fa.
Penso che esse debbano comportarsi come qualsiasi altro datore di lavoro, al fine di adempiere ai loro obblighi nei confronti dei lavoratori. Quindi, per retribuire adeguatamente i dipendenti, potrebbe essere necessario aumentare i costi dei servizi nei confronti delle aziende clienti.
Inoltre, le agenzie devono garantire la sicurezza sul lavoro. Su questo punto, l’obbligo non si esaurisce solo perché hai inviato un lavoratore presso un’altra azienda: la responsabilità di un luogo di lavoro sicuro deve essere anche dell’agenzia in quanto datore di lavoro. In Canada, ad esempio, alcune sentenze del tribunale hanno stabilito la responsabilità in solido dell’agenzia anche sulla sicurezza sul lavoro, così come per ogni altro datore di lavoro.

Annamaria Guerra
Scuola di dottorato in Apprendimento e
innovazione nei contesti sociali e di lavoro
Università degli Studi di Siena

(Bollettino Adapt)

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