Franca Tosco – I dipendenti-azionisti chiedono di partecipare alla governance dell’impresa.

Il dibattito sul ruolo dei lavoratori nelle grandi imprese e, in particolare, sul rapporto tra proprietà e forza lavoro, esiste da circa un secolo (anni ’20 del secolo scorso) ed è stato riportato in auge a partire dall’ondata di privatizzazioni della metà degli anni ’90. Per ruolo dei lavoratori nelle imprese intendiamo naturalmente, in questo caso, la possibilità (o l’opportunità, secondo la nostra convinzione) che i primi possano contribuire, a vario titolo, alla gestione strategica delle seconde.


Resistenze sociali e culturali

C’è, o c’era, un pregiudizio di origine remota: la tensione tra proprietà e management da una parte e dipendenti dall’altra sarebbe irrisolvibile e irriducibile. Accettare questa visione delle cose significa partire dal presupposto che la partecipazione dei dipendenti alla gestione dell’impresa sia un’ipotesi remota: una sorta di tabù. Eppure, la figura del dipendente-azionista, pur non essendo eccessivamente diffusa, esiste. Esiste davvero: non in un lontano iperuranio o in qualche microstato con il reddito medio del Principato di Monaco. Esiste in Italia (non da troppo tempo). Ed esiste in Europa, come realtà perfettamente acquisita e pacifica, in sistemi come quello francese o tedesco.

Questione di sostanza, prima che di definizione

Chiamateli piccoli risparmiatori, chiamateli azionisti al dettaglio (secondo la più tecnica definizione del TUF): resta il fatto che ci sono. La nascita e l’affermarsi di questo tipo di figura non possono non aver introdotto – nel mercato, nella società – elementi peculiari. Queste persone, infatti, non si limitano ad acquisire azioni tramite piani di azionariato loro destinati, di quelli fatti a uso e consumo “dei dipendenti“. A far da leva c’è, spesso e soprattutto, la volontà di partecipare attivamente alla realtà economica della quale fanno parte. Esprimere un’opinione. Contribuire alle decisioni. In una parola: metterci del loro.

Un occhio privilegiato “dall’interno

E la cosa ha un senso: chi meglio di un dipendente che, magari, ha imparato a conoscere i meccanismi aziendali in anni di anzianità, può vedere cose che a livello “più alto” i manager, l’Amministratore Delegato e il Presidente non notano (più)? Per un certo periodo, i dipendenti-azionisti sono stati visti come massa indistinta da quale attingere dal punto di vista economico (maestranze-bancomat) e da gratificare soltanto con piccoli riconoscimenti, a loro volta di natura esclusivamente economica. Ma oggi, dopo dieci anni di crisi e dopo casi quali Cirio e Parmalat, quel “parco buoi” di “investitori passivi” non esiste più. Non può più esistere. Questo il paradosso: benché il bacino dei piccoli risparmiatori sia essenziale per le imprese e per il loro approvvigionamento di capitali, non vi è mai stata una particolare attenzione da parte del sistema normativo verso questa categoria.

Primi segnali all’inizio degli anni Duemila

Risale alla riforma del 2003 l’introduzione di un concetto nuovo: le minoranze azionarie hanno diritto a occupare alcuni posti negli organi sociali. E a questo punto, puntuale, qualcuno cita il caso tedesco, nel quale la presenza di rappresentanze dei lavoratori negli organi sociali è normativamente sancita. Ma attenzione: Germania e Italia sono due mondi diversi. Soprattutto quando si parla di dipendenti-azionisti. A nord delle Alpi il “modello collaborativo” tra proprietà e lavoro è pacifico. Da noi, (troppo?) spesso prevale il conflitto.
Attenzione: il discrimine non è il riconoscimento dei diritti dei lavoratori. Piuttosto, è il metodo per ottenerlo che cambia: contrattazione sindacale (o sindacalizzata) da noi; meccanismi di composizione della crisi normativamente delineati in Germania.
Ripeto: è una semplificazione brutale. Ma c’è del vero. Le differenze non finiscono qui. Il sistema tedesco prevede come obbligo il coinvolgimento dei lavoratori al ricorrere di determinate soglie dimensionali (“cogestione”) e la presenza di rappresentanti dei lavoratori nei consigli d’azienda (“codeterminazione”). Di che cosa stiamo parlando? In una parola, stiamo parlando della possibilità da parte dei dipendenti di avere un’influenza sulle decisioni aziendali. In Germania il lavoratore (almeno in teoria!) smette di essere mero fattore di produzione: la forza lavoro è considerata strategica quanto gli investitori e gli amministratori. È ormai verità largamente riconosciuta (e dimostrata da ricerche) che le aziende in grado di coinvolgere, a vario titolo, i dipendenti fanno registrare prestazioni più elevate sul medio-lungo termine. Eppure, tocca registrare una doppia velocità: sia la prassi sia le soluzioni normative non corrono al passo con i tempi.

Il panorama delle Associazioni

Assonline (in Italiaonline) non è l’unica associazione di azionisti a essere attiva in Italia, peraltro da molti anni: siamo in buona compagnia, per esempio con Asati in TIM, Azione Carige in Carige, ADBI in Intesanpaolo. C’è ancora qualcuno che confonde associazioni di questo tipo con sigle sindacali. Nulla di più diverso: dai sindacati ci distinguono natura, finalità e metodo. Una formula, semplicistica ma efficace, recita: “Noi non protestiamo, preferiamo proporre“. Un esempio? In occasione dell’ultima Assemblea degli Azionisti di Italiaonline (27 aprile scorso), la nostra associazione ha proposto che una parte degli 80 milioni di dividendo fosse distribuita tra i migliori dipendenti e azionisti. Proposta, ahinoi, respinta.

Richieste e risposte

Tutte queste realtà stanno chiedendo l’introduzione di modifiche statutarie tali da rendere possibili, e non soltanto auspicabili, forme concrete di partecipazione alla governance.
Significativa la risposta che il più delle volte si sentiamo ripetere di fronte alle nostre rivendicazioni: “L’ordinamento non lo prevede”. Ma è davvero un problema di ordinamento normativo? È vero, infatti, che l’ordinamento “non lo prevede. Ma è altrettanto vero che non lo vieta neanche: e dunque ogni società può inserire o meno nel proprio statuto forme più o meno coraggiose di azionariato diffuso. E queste istanze di azionariato diffuso sono, a loro volta, normativamente fondate?

Che cosa dice la Costituzione

La risposta si trova nell’articolo 46 della Costituzione: “La Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende“. Ora, sappiamo che la Costituzione è, dal punto di vista normativo, fonte programmatica: dunque l’attuazione delle sue indicazioni è demandata al legislatore ordinario. Inoltre, il concetto di “collaborazione alla gestione” è inteso in senso quanto mai restrittivo. E qui, quasi per cultura, alle nostre latitudini sembra inevitabile l’intermediazione dei sindacati e che il riconoscimento di partecipazioni agli utili sia elemento sufficiente per ritenere soddisfatta la collaborazione. Al massimo, si può aggiungere a questa breve “ricetta” l’ingrediente del diritto di informazione e consultazione (tipicamente, “non vincolante”).

Collaborazione debole e collaborazione forte

Se forme di partecipazione “debole, come diritti di informazione e consultazione o incentivazioni finanziarie partecipative, sono ormai considerate come acquisite, il discorso cambia completamente quando si tratta di valutare forme di partecipazione “forte, ossia di partecipazione dei lavoratori all’assunzione di decisioni con il management. Per associazioni come Assonline, dare vita a manifestazioni filantropiche e funzionali a migliorare l’immagine dell’azienda non può essere l’obiettivo di massima: il fine ultimo della nostra azione è modificare la stessa filosofia della governance.

L’obiettivo di massima

Solo poche norme introdotte a tutela delle minoranze azionarie hanno scalfito il principio, monolitico fino a poco tempo fa, che gli organi di amministrazione e controllo possano essere espressione della sola maggioranza azionaria. Ora, entrate in vigore tali norme, la minoranza azionaria è sì rappresentata, ma nella quasi totalità dei casi la lista di minoranza è presentata da investitori istituzionali. In una parola: l’azionariato diffuso e l’azionariato dei dipendenti sono tuttora fuori dalla governance. È quindi la volontà degli attori economici “forti” che manca: non la libertà normativa.

Portare all’attuazione dell’articolo 46 della Costituzione

Noi di Assonline siamo convinti che solo introducendo un (più o meno ampio) obbligo di riserva di posti per l’azionariato diffuso, e in particolare per quello dei dipendenti, si potrà arrivare alla piena attuazione dell’articolo 46 della Costituzione. Un articolo che prevede una specifica idea di impresa nel nostro paese. Finora, tutte le proposte di legge in questo senso (Proposta di Legge Damiano e Proposta di Legge Sacconi) si sono arenate nelle secche delle resistenze del sistema. Di respiro ancora più ampio è la Proposta di Legge Miccoli, che si rivolge all’insieme dell’azionariato diffuso, prescindendo dalla qualifica di essere dipendenti o meno della società, e prevede non solo l’elezione diretta di rappresentanti della categoria, ma anche una serie di facilitazioni nell’esercizio dei diritti gestori, attraverso l’associazionismo.
Solo il riconoscimento normativo della categoria in quanto tale e della sua rappresentatività attraverso l’associazionismo potranno consentire il salto di qualità da più parti atteso e positivamente stimato. È già avvenuto con i consumatori. Potrà avvenire con i dipendenti azionisti? Noi crediamo di sì. E lavoriamo perché avvenga.

(www.businesscommunity.it, 12.05.2017)

 

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