Intervista a Cesare Damiano

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Nel corso del convegno sulle nuove relazioni industriali tenutosi a Pescara il 25-26 settembre e organizzato dall’Associazione Italiana di Studio delle Relazioni Industriali, Danilo Terra ha intervistato Cesare Damiano.

Ci parli di lei…

Sono un uomo di sinistra, presidente della Commissione Lavoro della Camera e ex ministro del lavoro nel secondo governo Prodi. Da sempre, dal ’68, mi batto per i diritti dei lavoratori.
Naturalmente non disconosco le ragioni dell’impresa, in primo luogo quello della competitività; non sono dell’idea che per raggiungere quegli obiettivi valga la pena di perseguire politiche liberiste. Io sono un antiliberista e sono un Keynesiano.

Il suo punto di vista sulla democrazia in azienda?

La democrazia in azienda in Italia è un tema debole.
La democrazia in azienda cominciò ad affermarsi all’inizio degli anni Settanta nelle grandi vertenze dei contratti industriali, quando s’introdusse il concetto dei diritti di informazione: informazione sulle strategie, informazioni sulle conseguenze delle scelte strategiche sull’occupazione, le conseguenze dell’innovazione tecnologica sull’occupazione.
Diritti conquistati, anche a prezzo di dure lotte, ma scarsamente praticati, direi recentemente abbandonati.
Io credo che da questo punto di vista dobbiamo recuperare il gap, il ritardo che abbiamo con il resto dell’Europa, a partire dalla Germania.

Cosa pensa dell’attuale livello di partecipazione dei lavoratori nel contesto italiano?

Molto basso.
Molto basso, imparagonabile a quella che può essere la Mitbestimmung tedesca, all’idea di comitati di consultazione accanto ai consigli di amministrazione, comitati che votano a maggioranza composti per metà da rappresentanti dell’impresa e per l’altra metà da rappresentati dei lavoratori,
comitati che prendono decisioni sulle delocalizzazioni, sulle acquisizioni, sulle dismissioni, sulle fusioni, sempre tenendo in considerazione le conseguenze occupazionali della condizione di vita dei lavoratori.
In Germania è una legge antica che sostiene questa possibilità; da noi la Confindustria italiana è contraria a qualsiasi forma che possa in qualche modo imbrigliare le decisioni e le scelte dell’impresa, perché sono due culture molto diverse.
Aggiungo che anche in Francia, che tradizionalmente dopo la seconda guerra mondiale aveva già inserito il principio della presenza all’interno del consiglio di amministrazione nelle aziende controllate dal settore pubblico, anche in Francia di recente è stata inserita una clausola in base alle quale nei consigli di amministrazione delle aziende private, quelle al di sopra dei 5.000 dipendenti, ci debba essere un rappresentante dei lavoratori.
Io penso che questa clausola debba essere importata anche in Italia per allineare la legislazione italiana sulla partecipazione agli standard del resto dell’ Europa.

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