Intervista a Guido Antolini

Ci parli di lei…

Ho 61 anni, ho finora vissuto una vita molto intensa, con esperienze diversificate e significative. Universitario fuori sede, sono entrato in BNL da neolaureato nel 1982. Nel 1987 sono diventato Funzionario, e dopo aver ricoperto diversi incarichi sempre nell’ambito del Credito, in numerose filiali italiane, mi sono avvicinato all’attività sindacale nel 2000. Erano i tempi in cui tutti i dipendenti BNL erano individualmente azionisti, prima per l’offerta ricevuta in sede di privatizzazione, poi per la possibilità di avere il pagamento in azioni del premio annuale di rendimento.

Il sindacato del quale ho successivamente ricevuto l’incarico di coordinare nella BNL, il Dircredito, ritenne di affrontare le burocrazie imposte dalla Legge (il TUF – dlgs 58/99) per offrire ai dipendenti e a ogni altro Piccolo Azionista interessato la possibilità di essere rappresentato in Assemblea attraverso la costituzione di una Associazione di Piccoli Azionisti, Azione BNL.

Fu un percorso molto difficile e faticoso, che però, nel 2005, si rivelò fondamentale quando, anche attraverso la collaborazione con i principali sindacati ed altre Associazioni con i quali condividemmo in perfetto accordo obiettivi e competenze acquisite, furono raccolte 11.000 deleghe presso i Piccoli Azionisti (prevalentemente dipendenti) che si rivelarono determinanti per bloccare in assemblea il tentativo di scalata dei “furbetti del quartierino”.

Grazie alle competenze acquisite e continuamente arricchite, e alla collaborazione di tanti colleghi e amici provenienti da realtà diverse, ho acquisito l’incarico di seguire le problematiche partecipative per il sindacato, che ha aderito alla EFES (Federazione Europea dell’azionariato dei dipendenti) per gli aspetti più strettamente inerenti la partecipazione in ambito multinazionale e gli interventi in sede comunitaria, dove rivesto la carica di Presidente dal 2010. La nascita e diffusione delle Associazioni di Piccoli Azionisti ha inoltre condotto alla costituzione del CONAPA, Coordinamento Nazionale delle Associazioni di Piccoli Azionisti, inizialmente presieduto da Nerio Nesi e successivamente da Bruno Tabacci, per il quale continuo a garantire l’operatività e l’attività di comunicazione.

Nel 2015 Dircredito si fonde con FIBA CISL, costituendo la FIRST CISL, Federazione sindacale dei lavoratori bancari, assicurativi e delle Authorities. La matrice partecipativa di CISL è indubbiamente l’elemento di maggior valenza, alla quale intendo dare tutto il contributo che le mie competenze e le mie forze possano consentire.

A che punto siamo con la partecipazione dei lavoratori all’impresa in Italia ?

Premetto che, quando parlo di partecipazione, intendo solo quella senza aggettivi, e cioè la partecipazione al capitale, con tutto quello che ne consegue.

Da questo punto di vista l’Italia resta il Paese del “tutto o niente”: a un mondo cooperativo, in cui le cooperative di lavoro vedono il 100% in mano ai dipendenti, si contrappone un mondo privato in cui la partecipazione non è mai all’ordine del giorno, ma è sempre superata da altre priorità.

Occorre inoltre tener presente che la partecipazione, dal punto di vista della dottrina giuridica e dei diritti, si sviluppa secondo due direttrici che è molto difficile, se non impossibile, far dialogare: il diritto del lavoro e il diritto commerciale. Ecco quindi che vengono spesso dipinte come istituti partecipativi il profit sharing, l’informazione e la consultazione, le commissioni bilaterali ecc., che sono estremamente positivi come indice di relazioni industriali avanzate risultanti nel benessere dei dipendenti interessati, ma che non rappresentano a mio avviso, il diritto dei dipendenti a partecipare in qualità di comproprietari.

Se guardiamo alle Società quotate vediamo che la partecipazione generalizzata e diffusa dei dipendenti è presente in ST Microelectronics, multinazionale che dalla componente francese ha acquisito l’attitudine partecipativa, Luxottica, grazie alla lungimiranza del presidente Del Vecchio e, di nuovo, alla fusione con una società francese, e Prysmian. Nelle prime due è prevista la rappresentanza dei dipendenti negli organi rappresentativi, nella terza no: essendo il modello statutario di tipo italiano, l’azionariato è individuale.

E’ possibile e auspicabile rafforzare la cultura della partecipazione in Italia ?

Perbacco, si! L’importante è superare le reciproche diffidenze e capire che la partecipazione non toglie ruolo a nessuno. In questo ambito sostengo, da sempre, che il segreto è quello di togliere la partecipazione dai processi negoziali tradizionali, e arrivarci attraverso una serie di prese d’atto sui concetti e sulle modalità, anche statutarie, che introducano strumenti partecipativi strutturali e non episodici quali la rappresentanza collettiva dei dipendenti azionisti attraverso veicoli societari autogestiti e il rispetto delle attribuzioni e dei ruoli di sindacati, management, proprietà.

Mi spiego meglio: ogni processo negoziale vede un gioco di risultati e contropartite. Se sul tavolo c’è la partecipazione, è facile pensare che la parte proponente si veda richiedere una contropartita per lei penalizzante. Questo, probabilmente, è il motivo per cui nei contesti attuali il movimento sindacale nel suo complesso non affronta l’argomento, senza parlare del sindacalismo antagonista e di fenomeni estremi. Del resto ogni Direttore del Personale si troverebbe a disagio nel negoziare strumenti di partecipazione proprietaria, che esulano dalle sue competenze in quanto riservati all’Assemblea dei Soci. Risultato: comunque la si voglia considerare la partecipazione rimane sempre fuori dalle priorità.

Vorrei infine sottolineare un aspetto, che ha del paradossale: in Italia non esistono divieti di alcun tipo alla partecipazione. Addirittura, attraverso lo statuto di Societas Europaea, è possibile adottare modelli di rappresentanza dei dipendenti nei Consigli di tipo tedesco, senza necessità di partecipazione azionaria. Rafforzare la cultura della partecipazione vuol dire anche aver consapevolezza che la partecipazione dipende dalla volontà delle parti, e in particolare dall’attitudine partecipativa che, a mio avviso, le imprese italiane dovrebbero coltivare con maggior impegno.

Perché e in quale modo la partecipazione azionaria dei dipendenti è uno strumento di progresso e produttività per le imprese, oltre che uno strumento di crescita dell’occupazione ?

Non ho nulla da aggiungere all’oceanica produzione accademica che unanimemente risponde a questa domanda. Per quanto concerne le c.d start up, sono più o meno tutte basate su forme partecipative, ma spesso presentano numeri trascurabili o modelli di attività più simili a studi professionali che a imprese industriali. Riguardo all’occupazione è invece necessario affrontare situazioni che, individualmente, “non fanno notizia”, ma collettivamente rappresentano un fenomeno più che significativo: la successione d’impresa. La Commissione Europea stima in 400.000 il numero di piccoli imprenditori che annualmente si ritirano dagli affari. Chi ne prende il posto? Spesso non ci sono familiari disponibili, l’impresa chiude, i dipendenti vanno a spasso. Perché non si istituzionalizzano interventi per agevolare l’acquisizione da parte dei dipendenti? Ritengo essenziale affrontare il tema della partecipazione anche nelle piccole imprese, non tanto per aumentare l’occupazione, quanto per difendere e mantenere quella esistente.

Quali sono i prossimi passi per rafforzare la cultura della partecipazione ?

Nel prossimo novembre il Parlamento Europeo adotterà una risoluzione in favore della partecipazione. Auspichiamo che a seguito di tale risoluzione sia deliberato l’avvio del piano di azione europeo, che la EFES sollecita dal 2014, per diffondere la cultura della partecipazione.

E poi, in ogni occasione, in ogni contesto, in ogni istituzione, porre all’attenzione di tutti il ruolo costruttivo e positivo di quell’attitudine partecipativa che, a mio avviso, è già presente in molte realtà e che deve solo essere formalizzata e messa in pratica.

Guido Antolini – Presidente EFES

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