Intervista a Claudia Brunori

brunoriCi parla di lei ?

Sette anni fa ho intrapreso un percorso accademico ben definito nel settore delle risorse umane: mi sono laureata nel 2009 in Relazioni Industriali e Sviluppo delle Risorse Umane e successivamente  ho conseguito la Laurea specialistica in Relazioni di Lavoro. I miei interessi si sono orientati nell’ambito dell’organizzazione aziendale e delle relazioni sindacali, materie oggetto delle due tesi di laurea: in particolare la tesi sperimentale della laurea specialistica  mi ha concesso di capire ed entrare in merito ai rapporti di potere e negoziazione tra sindacato-azienda, analizzando da un punto di vista formale e sostanziale i contratti aziendali firmati dopo l’Accordo Interconfederale del 28 giugno 2011. Un’ottima base formativa mi ha permesso anche di vivere in senso critico e più consapevole un’esperienza di stage nell’ufficio relazioni industriali di un importante gruppo bancario, dove ho potuto vedere da vicino come si sviluppano le relazioni sindacali in azienda.

Ci fornisce la sua definizione di democrazia in azienda ?

La democrazia in azienda si fonda su tre pilastri fondamentali strettamente interconnessi tra di loro: condivisione, cooperazione e partecipazione.

Il primo elemento rappresenta il presupposto fondamentale in quanto tutti i membri di un’organizzazione devono essere a conoscenza dei problemi e delle opportunità, quindi occorre garantire una trasparenza nel divulgare le informazioni con una capacità di trasmissione chiara  e facilmente reperibile.

Il secondo pilastro, che presuppone anche il terzo, permette a tutti i membri dell’organizzazione di lavorare insieme e collaborare per raggiungere gli obiettivi ma anche decidere e cogestire l’attività di cui fanno parte. La partecipazione presuppone tuttavia anche l’opportunità e la difficoltà di assumersi le responsabilità delle decisioni prese sia come manager, sia come rappresentante sindacale  che come  singolo lavoratore.

La democrazia in azienda rappresenta una soluzione organizzativa tanto ottimale quanto difficile da raggiungere e non sempre risulta la possibilità più efficiente: il grande ostacolo a una realtà quasi idilliaca come quella partecipata sono i numerosi interessi e rapporti politici che un’organizzazione inevitabilmente crea e che talvolta disorienta dai presupposti precedentemente descritti; occorrerebbe una chiara definizione degli obiettivi e un codice di comportamento condiviso e rispettato da tutti gli attori coinvolti al fine di limitare comportamenti dettati da interessi individualistici inevitabilmente esistenti.

Ci fornisce il suo punto di vista sulla democrazia in azienda ?

Quando ho partecipato per la prima volta a un incontro sindacale, durante la mia esperienza di stage presso l’ufficio relazioni industriali di un gruppo bancario, ho subito avuto la strana sensazione di trovarmi in un’aula di tribunale: la contrapposizione di interessi era evidente ma prima di tutto la volontà delle parti di voler prevalere l’una sull’altra senza dare troppa importanza alle conseguenze delle decisioni intraprese.

Vi era un vantaggio competitivo evidente, ovvero la delegazione aziendale era dotata di un team di professionisti inoltre risultava in possesso un gran numero di informazioni determinati di cui il sindacato non era a conoscenza.

L’opportunità della democrazia in azienda si fonda proprio su questa relazione in quanto la condivisione delle informazione, dei problemi e delle scelte organizzative permette un’analisi della realtà di riferimento in tutte la sue sfaccettature, non solo dal punto di vista della delegazione aziendale ma anche del sindacato e di conseguenza dei lavoratori stessi, provocando una riduzione dell’incertezza e fornendo l’opportunità di ricercare in modo partecipato anche delle soluzioni che si adattano ai problemi che emergono in quel  contesto specifico, proponendo delle soluzioni talvolta efficienti e talvolta meno ma sicuramente diverse rispetto alle altre realtà concorrenti del settore.

Rinunciare alla democrazia in azienda riduce il lavoro del responsabile delle relazioni industriali a un omologarsi a scelte organizzative già intraprese da altre realtà, (ma proprio perché le realtà sono diverse tra di loro non producono gli stessi effetti) rinunciando all’opportunità di prediligere il confronto e la codecisione come soluzione organizzativa più adatta a ogni singola realtà di riferimento.

Il sindacalista in azienda acquisirebbe un ruolo determinante perché potrebbe influire nelle scelte organizzative e quindi far parte di un processo decisionale che produrrebbe degli effetti sulla realtà di riferimento e sui lavoratori stessi evitando di adottare un atteggiamento di mera opposizione talvolta forzata.

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